giovedì, novembre 17, 2005

Donne! Ribellatevi!

L'altro giorno, parlando con i miei amici ingegneri, ho scoperto che studiano per i soldi e quindi per scopare. In effetti la stabilità economica è un prerequisito per avere una buona relazione sentimentale. In questa società. E non mi dite che senza soldi si scopa bene. Viene ostacolato bellamente in tutti i modi. Dalla famiglia e dalla società. E non è moralità, il motivo è un altro. Leggete l'articolo e capirete. Un modo per destabilizzare questa società sarebbe il rifiuto di queste regole sul sesso. I maschi dovrebbero rifiutarsi di avere una promessa di felicità in cambio della propria vita e le donne di essere merce di scambio, un premio (ambito!).


Il linguaggio del sesso tra evoluzione e cultura
Franco Prattico, La tribù di Caino. L'irresistibile ascesa di Homo Sapiens, Raffaello CortinaEditore, Milano 1994.

Il raggiungimento della stazione eretta nella storia dell'evoluzione umana rappresenta un punto cruciale: gli arti anteriori, liberi dal compito monotono di sostenere il corpo, diventano duttili strumenti per cacciare, costruire, dipingere; le idee possono concretizzarsi in oggetti, la creatività può esplorare nuovi ambiti. Ma un imprevedibile risvolto si accompagna alla conquista della postura bipede: la nascita dell'eros. Il nuovo assetto anatomico della specie umana rende nvisibili i genitali femminili, e rende quelli maschili involontariamente esibiti; la scomparsa dei segnali della ricettività sessuale femminile premia altri caratteri, altri comportamenti, che accendono il desiderio e bilanciano l'assenza del periodo di estro nella donna. La passione da quel momento modella l'organizzazione sociale, il rapporto uomo-donna, la cura della prole, l'istinto stesso di conservazione della specie.
"In principio era l'eros"
È la più potente delle pulsioni di natura, e anche la più anarchica. E quindi la più pericolosa per la famiglia umana fin dai suoi esordi: sia perché la sessualità è una forza che tende a sradicare qualsiasi struttura le sia di ostacolo, sia perché quella umana ha alle spalle una storia tutta particolare. A differenza della maggior parte degli altri mammiferi e degli stessi primati, la femmina umana infatti non presenta periodi di "estro", quei segnali visivi e olfattivi che "segnano" esternamente il suo periodo di ricettività e di fecondità e accendono nei maschi comportamenti di appetenza. Probabilmente, a detta dei sessuologi, è una delle conseguenze della conquista della stazione eretta che, ristrutturando profondamente l'organismo e la geometria somatica, ha reso "invisibili" le parti genitali femminili inibendo e quindi facendo scomparire le vistose manifestazioni che al momento dell'ovulazione contrassegnano la maggior parte degli altri primati: tumefazione e colorazione dei genitali esterni, emissione di feromoni ecc. Al momento in cui è feconda, la femmina umana non trasmette più all'esterno (ma anche difficilmente percepisce al proprio interno) informazioni sul suo stato.
È una situazione a rischio: perché l'annullamento dell'annuncio del periodo fecondo potrebbe far "dimenticare" ai maschi – nel silenzio del campanello ormonale scatenato da quei segnali – l'attività sessuale, indispensabile alla specie per la sua perpetuazione. Oppure estendere illimitatamente sia la ricettività femminile, anche al di fuori dei periodi fecondi, sia l'interesse sessuale maschile. È quello che è avvenuto alla nostra specie: che a quel dilagare della sessualità ha risposto con entusiasmo. Con la conseguenza, scrive il sessuologo svizzero Gerard Zwang, che "fin dalle origini i primi uomini e le prime donne, in quanto coscienti, erano già degli ossessionati dal sesso": favoriti in ciò dalla estensione, ben maggiore che nei primati coevi, delle aree cerebrali associative e della memoria, che giocano un ruolo non indifferente nella riaccensione del desiderio, al di là degli stimoli puramente biologici (come prova la fortuna, in qualsiasi epoca, della produzione di materiale erotico o anche pornografico). Naturalmente in questa "mania del sesso" non siamo i soli: altri nostri "parenti" estendono al di là dei periodi destinati alla riproduzione la loro attività sessuale. Per esempio gli scimpanzé pigmei (i bonobo), tra i quali l'intensa e gratificante attività sessuale funge tra l'altro da ammortizzatore delle tensioni sociali.
Nella nostra specie, però, la sparizione dei segnali dell'ovulazione è compensata e sostituita, nell'accendere il desiderio maschile ed esprimere la disponibilità femminile, da vistosi caratteri morfologici esterni (in particolare seni e natiche), molto più evidenti che in altri primati. Sono caratteri (non a caso intenzionalmente sottolineati nelle numerose "veneri gravettiane" dell'Alto Paleolitico) la cui visibilità è accentuata dalla perdita del pelo, che ha sottolineato e reso evidente a forma del corpo umano. Mentre nella femmina la scomparsa della copertura di peli ha esaltato la visibilità dei caratteri sessuali secondari, nel maschio ha portato, grazie alla statura eretta, a una involontaria esibizione permanente dei genitali, anch'essi più visibili e voluminosi che negli altri primati. Le dimensioni del sesso maschile umano non hanno nulla a che vedere né col piacere né con la riproduzione: sono solo un "segnale" destinato alla futura partner, frutto evidentemente di una selezione fondata su motivi "estetici", come le penne del pavone o il canto degli uccelli. L'architettura attuale del corpo umano non è perciò un regalo del caso. Sia i caratteri sessuali esterni femminili che quelli maschili dell'Uomo Moderno non sembrano tanto costituire risposte a una pressione evolutiva ambientale, quanto essere frutto della selezione sessuale, del manifestarsi cioè nella scelta del partner di preferenze "estetiche", che sottolineano i caratteri gratificanti e arbitrari, non puramente compulsivi, della sessualità umana. I segni insomma di una "passione erotica" che, se dal punto di vista evolutivo compensava la sparizione dell'estro, dall'altra, stimolando il dilagare dell'attività sessuale, costituiva un elemento di rischio: durante la stagione degli "amori", infatti, tutti gli animali, dominati dalla pulsione riproduttiva, allentano temporaneamente il loro stato di vigilanza (indispensabile nella vita selvaggia), perdono il controllo del loro ambiente, mentre diminuisce o si annulla l'interesse per altre funzioni vitali, come la ricerca del cibo e la tutela dei piccoli, nella nostra specie così a lungo e così totalmente dipendenti. L'anarchia individualistica della ricerca a ogni costo della gratificazione sessuale contraddice quindi la tendenza alla integrazione e alla responsabilizzazione nei confronti del gruppo che, fin dai tempi dell'Homo Habilis, è la premessa per la sopravvivenza collettiva. E, di conseguenza, entra in conflitto con la potente motivazione che ha stretto uno all'altro i primi ominidi: la paura, grande nutrice della nostra storia.
La paura è la levatrice e la balia della nostra evoluzione, la severa custode che, potenziata dalla sempre più ricca ed estesa memoria umana, ha impedito alla nostra specie di precipitare (finora) in disastrosi imbuti evolutivi. Agisce ancora dentro di noi, determina le nostre azioni, che ne siamo coscienti o no, e comunque si mascheri o si manifesti. È stata la paura a gettare le fondamenta di quell'universo delle regole entro cui è maturato l'Uomo Moderno, modellato dalla esigenza di contemperare le cieche pulsioni della biologia con le scelte comportamentali indispensabili alla sopravvivenza, propria e del proprio gruppo. Dalla paura nascono i tabù, i divieti comportamentali verso ciò che minaccia l'integrità e la stessa sopravvivenza della piccola e fragile comunità umana. E il primo riguarda proprio la sessualità, che lasciata a se stessa incrinerebbe la coesione del gruppo: nasce così una forma di "autoaddomesticamento" che assorbe le spinte anarchiche e compulsive della biologia, indirizzandole all'interno delle regole del gruppo. Ma l'addomesticamento della sessualità ha anche significato una prima forma di gerarchizzazione del gruppo, facendo decadere la femmina dal suo ruolo di socia paritaria (o forse dominante) a quello di "bene" da utilizzare. Fino a quel momento, infatti, la donna aveva sicuramente un ruolo cardine in quei primordi di società, sia perché "produttrice" di altri esseri umani, sia perché fonte (come madre e come partner sessuale) di emozioni gratificanti. È probabile che la selezione sessuale venisse in quell'epoca operata in gran parte dalla donna (ma le "preferenze" maschili sono probabilmente responsabili del vistoso emergere dei caratteri sessuali secondari femminili). È stata inoltre la "nutrice" del gruppo umano, finché la dieta era fondata principalmente sui prodotti vegetali che le femmine raccoglievano attorno agli accampamenti, e che assicuravano la continuità dell'approvvigionamento alimentare (la partecipazione dei maschi, imperniata sulla caccia, è aleatoria anche nelle residue tribù di cacciatori-raccoglitori; e lo era ancor più in un'epoca in cui le tecniche di caccia erano ai primordi, e il rinvenimento di carogne da spolpare affidato al caso e alla fortuna).
Inoltre la cura dei piccoli e la relativa sedentarietà che questa richiede avevano reso le donne le ere "padrone di casa" dei luoghi nei quali si riconosceva e organizzava la comunità umana. E ciò le rendeva naturali protagoniste di una serie di invenzioni tecniche e forse, grazie allo stretto e
prolungato contatto con i nuovi nati, autrici di massicci contributi allo sviluppo e al raffinamento del linguaggio. Il ruolo della donna, quindi, era predominante: anche sul piano sessuale, se dobbiamo credere alle tesi dell'antropologa di Harvard Sarah Blaffer Hardy, che sostiene che l'assenza di estro visibile nelle femmine del Sapiens derivava "dalla tendenza evolutiva ad assicurarsi rapporti con una pluralità di maschi", sia al fine di garantire una protezione collettiva i piccoli, sia per ottenere cibo per sé e per i figli anche quando le era impossibile abbandonare il sito. La comunità umana sarebbe quindi nata su base poliandrica, secondo la ricercatrice americana, con le femmine forse in posizione dominante: salvo capovolgersi bruscamente quando sia il rafforzarsi e codificarsi delle regole interne al gruppo, sia il miglioramento delle tecniche di caccia, potenziando il ruolo dei maschi cacciatori-guerrieri e strutturando tra loro una gerarchia di funzioni, rese intollerabile l'elemento di "disordine" che la libera sessualità femminile introduceva nell'organizzazione collettiva, poiché si manifestava sulla base delle preferenze individuali senza riguardo alle gerarchie imposte dall'attività del gruppo. Mettendo perciò a rischio la sua coesione e l'interesse dei maschi verso gli obblighi "sociali", diminuendo lo stato di vigilanza collettiva e spingendo l'attività sessuale oltre i limiti di rischio che il gruppo era in grado di tollerare. Da quel momento la dicotomia maschio-femmina cessa di svolgersi su un piano di parità, e la sessualità femminile viene vissuta come pericolo, minaccia da sventare. Ne emergono tracce non solo nell'organizzazione di tutte le società "storiche" dell'Uomo Moderno, ma anche nei miti e nelle fiabe. La donna è "pericolosa" e va domata (per potere poi essere utilizzata anche come bene di scambio con altri gruppi umani); è portatrice di maligni poteri, esemplificati nella letteratura folklorica dalla "vagina dentata". Propp [nel suo studio sulle Radici storiche dei racconti di fate] riesuma nel folklore russo e di altri popoli il dramma della "doma" della sposa, simbolicamente principessa o maga, il cui abbraccio può essere mortale per l'eroe, che da solo o con un aiutante magico (che simbolizza le direttive degli "anziani" del gruppo) deve renderla inoffensiva: e non proprio con le buone. Deve "strapparle i denti" dalla vagina, e lo fa torturandola e picchiandola: "Quei denti – scrive Propp – sono un simbolo, sono l'espressione figurata della potenza della donna, del suo primato sull'uomo. L'estirpazione dei denti e la tortura sono fenomeni dello stesso ordine: indicano che la donna ha perduto la sua forza. D'ora innanzi la principessa sarà docile e obbedirà al marito. Tutto si riduce a questo: l'antica potenza della donna è stata infranta dalla signoria dell'uomo. Ma vi è ancora un campo in cui l'uomo continua a temere la donna, forte e potente in virtù della sua capacità di generare figli. Anche storicamente la potenza della donna è fondata sul principio sessuale. Per questa sua sessualità essa è forte e temibile [...] [ma] viene privata di questo potere, ne viene privata in virtù dell'iniziazione, riservata ai soli uomini. Da quel momento la donna è asservita, cede il suo posto all'uomo, si ritira dall'ultima fortezza dove si credeva che potesse ancora esplicare il suo potere misterioso. Da quel momento l'uomo regna incontrastato". I riti di iniziazione, infatti, "sottraggono" gli adolescenti maschi all'universo femminile, e li sottopongono a una "nuova nascita", dolorosa e terribile, che li introduce nell'universo maschile e magico di cacciatori e guerrieri: a "partorirli" questa volta sono gli anziani, i detentori del potere e i custodi delle regole nel gruppo.
Perciò la normativa sessuale, nelle sue diverse varianti che includono tutte però la "caduta" della donna, è divenuta il paradigma di tutti i tabù, di quel complesso di norme fossili che continuano di agire potentemente nella nostra psiche. Dal complesso di prescrizioni che inchiodano la femmina dell'Uomo Moderno al suo ruolo subalterno e la espropriano della sua libera sessualità, nascono i divieti e gli obblighi che, pur tra mille trasformazioni e adattamenti, sembrano costituire un terreno comune per tutti i discendenti della nostra tribù: il divieto di incesto, che al di là del carattere sacrale e numinoso che lo caratterizza fin dalle origini, sembra diretto a favorire la "circolazione" della donna, la sua trasformazione in "bene", economico e politico, a tesaurizzarla per la comunità evitando di "spenderla" all'interno di un circuito chiuso come il nucleo familiare; il culto della verginità, che garantisce al maschio proprietario e defloratore il suo marchio di fabbrica sui figli, la sua continuità genetica; l'esogamia, che trasforma la donna in mezzo di scambio tra nuclei diversi, presupposto di una più ampia circolazione di beni e pegno di rapporti pacifici; la coppia (o la maggiormente diffusa famiglia poligamica) e l'invenzione dell'adulterio come colpa, strumenti non solo della privatizzazione della donna come fonte di prestazioni sessuali, ma anche di quella dei figli da lei prodotti, che costituiscono la riserva di forza e di potere per il patriarca. E a sua volta l'appropriazione dei figli e il rapporto di subordinazione che ne deriva costituiscono il modello della appropriazione di altri esseri umani, forse il fondamento (alla nascita della società agricola, che richiede un investimento senza precedenti in forza-lavoro umana) su cui crescerà la società schiavista, e al di là di questa ogni forma di espropriazione del lavoro umano. Le "istruzioni per la sopravvivenza" della organizzazione umana si trasformano così, alla vigilia della nascita delle prime società, in tabù, codici introiettati nelle coscienze, comportamenti divenuti coatti grazie al rafforzarsi della vocazione alla gregarietà, resa più potente e compulsiva dallo sviluppo dei linguaggi (e successivamente dei mezzi di comunicazione che dai linguaggi nascono): è la radice del conformismo "ingenuo" dei membri della tribù, che va in sincrono con l'uso strumentale dei mezzi di comunicazione (dalla costruzione delle mitologie alla televisione) ai fini dell'autoaddomesticamento e della costruzione di modelli comportamentali e di vita, che ssumono così rapidamente caratteri di necessità. [...]
Quei modelli si depositano nei linguaggi, plasmano le coscienze; vengono trasmessi, sotto forma di miti o di "sapere", installandosi permanentemente nelle memorie degli "anziani", custodi del etto procedere. Ed è proprio in questo passaggio che sembrerebbe formarsi una delle strutture portanti della società umana. La nascita cioè del concetto di "legge", che trasferisce la scoperta della ineluttabilità e ripetitività degli eventi di natura alle regole che la comunità ha adattato, introiettato e tramandato. Il "possesso dei codici" e la loro amministrazione da parte di coloro che – per età – non erano più in grado di partecipare alle rischiose attività del gruppo, ma che erano depositari della memoria e dell'esperienza collettiva, si trasforma in potere. Tocca agli "anziani" conoscere e guidare i complessi riti che presiedono all'iniziazione dei giovani, ossia del passaggio dallo stato di natura alla cultura; prendere, sulla base delle regole conservate (ed elaborate) nella loro mente e dell'esperienza collettiva, le decisioni che coinvolgeranno il destino della tribù; compiere le scelte che determinano la distribuzione dei carichi e dei benefici. Sempre più il gruppo umano si struttura come un organismo pluricellulare, al cui interno vige una distribuzione di funzioni e di compiti che fanno capo a un "sistema nervoso centrale", una struttura di comando. E la gerarchia di funzioni (necessaria) si trasforma in gerarchia di status, che probabilmente molto spesso si ipostatizza, diviene esplicita e assume anche caratteri esterni, visibili, che nesimboleggiano la funzione. Ancora una volta è il corpo che, da fonte primaria ell'appetenza, diviene il simbolo dello status. Si direbbe che una delle costanti del nostro cammino evolutivo culturale sia la trasformazione del corpo in discorso, il suo "mascheramento" per farne un portatore di messaggio (sociale). Il corpo diviene in un certo senso artificiale. Probabilmente gran parte della produzione di ornamenti (pendagli, collane, diademi e così via), di "iscrizioni" sul corpo (pitture, tatuaggi, incisioni, persino modifiche anatomiche artificiali), di "ricoperture" (vesti, mantelli, astucci penici) che caratterizzano il Paleolitico Superiore e successivamente le altre società umane fino alla nostra, si configura come informazione, "scrittura" e sanzione della collocazione dell'individuo nel gruppo sociale. L'apparenza nasconde il corpo (o lo esagera, quando ha la funzione di "esca sensoriale", come la definisce Zwang, e quindi di strumento di seduzione: in ogni caso però deformandolo secondo i canoni della cultura dell'epoca). Già alle soglie del Neolitico la frantumazione della tribù originaria in mille rivoli (pronti a contrapporsi giovandosi anche degli sviluppi tecnologici) distribuisce "mode", costruzioni diverse del corpo che vanno dalle iscrizioni sul corpo nudo nelle regioni il cui clima lo consente (dalle sacrificazioni come "biglietto da visita" tribale agli astucci penici che esaltano la potenza virile, uno dei valori principali a cui fa riferimento il codice tribale), ai pesanti addobbi cerimoniali delle tribù del freddo: ma alla base è lo stesso processo mentale, che tende a negare il corpo nella sua nuda semplicità, per farne uno strumento di affermazione sociale, un oggetto di cultura (e di potere). Franco Prattico, La tribù di Caino. L'irresistibile ascesa di Homo Sapiens, Raffaello Cortina Editore, Milano 1994.

Prima dell'esame di analisi

Arrivo presto, un'ora prima. Così mi rilasso, almeno credo. Pensieri cominciano ad addensarsi, bilanci sulla mia carriera universitaria - Ce la farò? E' la mia ultima possibilità - NO NO! Che te ne frega di Analisi e di Ingegneria!- Cose del genere, ma sono voci che riesco facilmente a controllare, quasi ci gioco con.

Sono solo, è il primo esame che faccio veramente da solo, di solito incontri qualcuno che conosci e ci fai quattro risate. A volte incontri dei matti che ti spiano, ti fanno domande strane, tecniche, quasi per sperare che non ce la farai, che tu sia uno di quelli sotto di lui. E' triste ma è così, gli ingegneri sono delle carogne, sono ammaestrati per questo, polli d'allevamento.

Con questi pregiudizi esco fuori, dove 200 persone sono ammassate vicino all'ingresso. Anche loro devono fare l'esame. Perché sono ammassate all'ingresso? Tor Vergata è una prateria verde, perché dopo aver guadagnato l'aria fresca, come me, si sono fermati? Inerzia? No! Il mio pregiudizio sugli ingegneri mi fa capire che vogliono controllare la situazione, vogliono entrare per primi quando arriverà il momento. Guardo meglio. Non sono ammassati, sono sparsi a gruppetti di due, tre; e parlano. Un vociare continuo. Sorridono. Il cielo è nuvoloso, ma qualcosa sta cambiando.

Mi è successo qualcosa, mi arrivavano frammenti di pettegolezzi, di cattiverie, le risate diventavano sempre più sguaiate. Sono nervosi? Come me? No, no, è qualcos'altro. Ogni tanto mi guardavano, i sorrisi mutavano in ghigni, diventano cattivi. Si, sono cattivi, senti come sparlano, guarda come gesticolano, a scatti. Il volume aumenta, le voci si mischiano e formano un rumore, un ronzio cupo, sono come sott'acqua. Il ronzio ogni tanto aumenta di frequenza e ne escono fuori delle parole, distorte, acute, taglienti, che fuori dal loro contesto acquistano una verità, un valore superiore. "OMBRA": una parola così innocua in quel momento era una statua, granitica e liquida sulla mia testa, le nuvole sempre più rosse.

Non sono qui, questo non sono io. Non sta succedendo veramente. Io non sono qui, non sono qui.






Solo ora riprendo il controllo sulle mie fantasie. Cosa mi è successo? Le tenevo sempre sotto controllo, al limite dell'allucinazione. Forse volevo far parte di uno di quei gruppetti, non volevo che sparlassero di me. Mi sono lasciato cullare dal dolore, come chi fantastica sulla propria morte.

Ma quando ho perso il filo? Quando ho smesso di dare la priorità alle persone? Quando ho cominciato a giudicare gli altri con cattiveria, perdendo l'ironia? Quando ho cominciato a dare la priorità ai valori imposti dagli altri? La carriera, la laurea. Devi studiare, bravo, ma ora che hai preso un buon voto non vorrai smettere mica? E ora che hai un buon lavoro che fai? Rinunci? Devi lavorare di più, sei un manager, da te ci aspettiamo tanto.

Rinuncio

mercoledì, novembre 09, 2005

Il Mistero Della Santissima Trinità

Sul nome delle cose e delle idee


Un bambino, di nome Carl Friedrich, va dal parroco del suo paese, un certo Joseph.
- Padre, non capisco niente di religione!
- Sono qui per questo, figliolo!
- Posso chiamarla in un altro modo? Sa, padre è il modo con cui chiamo il mio genitore, e quello con cui lei mi dice di chiamare il mio, il nostro dio... mi crea un po' di confusione...
- (Interrompendolo) hai detto dio... si dice Dio!
- Si padre, cioè Padre, ma, dicevo, non vorrei fare confusione tra dio, cioè Dio, e...
- Figliuolo, l'ubbidienza è la causa della serenità, e tu sei poco sereno..
- Padre, Lei mi continua ad interrompere, e io vado in confusione, e poi io sono ubbidiente verso i miei genitori, però...
- Figliolo, bada bene, io ho detto che non sei sereno, Tu hai detto di essere ubbidiente. Mmh, hai la coda di paglia?
- (non capendo il modo di dire) coda di paglia?...Padre, io sono qui per farle delle domande.
- (riluttante) va bene...
- Posso chiamarla in un altro modo?
- Va bene. Il mio nome è Benedetto.
- No padre, cioè Padre, cioè Benedetto, lei si chiama JOSEPH!
- Figliolo! Non alzare la voce! Quello è il mio nome prima del matrimonio con Cristo!
- Matrimonio? Tra maschi? Ma l'altro giorno mi ha detto che è una malattia...
- No figliolo, era nel senso...
- Allora voleva dire "prima del matrimonio con la Madonna"?
- Senti figliolo, veniamo al dunque. Però lasciamo perdere il discorso del matrimonio con Cristo, e della confusione tra tuo padre, me (tuo Padre), e Dio, nostro Santissimo Padre!
- Ma padre, cioè Padre, ehm, Benedetto. Posso chiamarLa Joseph?
- (con aria magnanima) va bene, ma non ti montare la testa! Ricorda che devi ubbidienza verso tuo Padre, ma anche verso tuo pad...
- (interrompendolo) Quello che non capisco è la Trinità. Dio è uno ed è trino. Ma che vuol dire? Come lo devo pensare Dio? Il buon Joseph trasalì, evidentemente il bambino aveva toccato un tasto dolente. Il parroco assunse un'aria ieratica, ma un po' scolastica, ed esordì, citando ad ogni sua frase il passo del Catechismo dal quale attingeva, con aria di volersi ancorare a quelle parole:
- I cristiani vengono battezzati « nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo » (Mt 28,19). Prima rispondono: « Credo » alla triplice domanda con cui ad essi si chiede di confessare la loro fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito: « Fides omnium christianorum in Trinitate consistit – La fede di tutti i cristiani si fonda sulla Trinità ».
- Quindi è come la mitologia che faccio a scuola? Padre, Figlio...polite...politeismo?
- Figlio, i cristiani sono battezzati « nel nome » – e non « nei nomi » – del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; (277) infatti non vi è che un solo Dio, il Padre onnipotente e il Figlio suo unigenito e lo Spirito Santo: la Santissima Trinità.
- Allora, se non siamo polit..non mi viene la parola, Dio è formato da tre parti distinte che lo compongono:
Padre, Figlio, e Spirito Santo. Come tre fette di una torta!
- Figlio, tre fette di una torta. Stai diventando blasfemo!
- Ma come faccio a pensare senza immaginare!
- Sai cosa disse Sant'Agostino? Credo quia absurdum. "Credo perché è assurdo!".
- Si, Joseph, cioè Benedetto, ma mi permette almeno di fare delle figure astratte che non ricordano torte o altre cibarie.
- Va bene, Figlio, cioè (battendosi la testa calva) figlio. Ma solo cose come questa (dalla tasca):
Vedi, figliolo, la trinità non è la somme di tre cose diverse!
«La Trinità è Una. Noi non confessiamo tre dei, ma un Dio solo in tre Persone: "la Trinità consustanziale". Le Persone non si dividono l'unica divinità, ma ciascuna di esse è Dio tutto intero: "Il Padre è tutto ciò che è il Figlio, il Figlio tutto ciò che è il Padre, lo Spirito Santo tutto ciò che è il Padre e il Figlio, cioè un unico Dio quanto natura". "Ognuna delle tre Persone è quella realtà, cioè sostanza, l'essenza o la natura divina"» Catechismo Della Chiesa Cattolica, par. 253.
- (grattandosi la testa) Allora se non è, per così dire, la somma delle tre parti... dio, cioè Dio, è formato dall'intersezione di tre parti, Padre, Figlio Spirito Santo..
Il piccolo Carl Friedrich, domandandosi perché il suo parroco lo chiamasse sempre Figlio (cioè figlio, prese un bastone e comincio a incidere diagrammi di Venn sulla terra.
- Figliolo, sei un vizioso!
- Perché?
- La castità esprime la raggiunta integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l'unità interiore dell'uomo nel suo essere corporeo e spirituale. La sessualità diventa personale e veramente umana allorché è integrata nella relazione da persona a persona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, dell'uomo e della donna". Essa implica "l'integrità della persona e l'integralità del dono".
- Ma cosa? (battendo la mano sulla testa). No padre, non è un ca... quella cosa che è peccato dire o toccare! Le è venuto in mente questo? Anche l'altro giorno... si dice... coda di paglia?
- Ah, ora ho capito! Non ho la coda di paglia. Noi padri della chiesa
dobbiamo educare i figli che rischiano di perdere la retta via, abbiamo un dovere anche per quanto riguarda l'educazione sessuale. Dovete imparare quanto può essere triste e sventurato questo dono di Dio, se non avviene nella grazia del Signore! Beh, comunque più o meno è così che devi pensare la trinità... (Carl trattene delle risatine, per un pensiero osceno che gli sarebbe
costato 20 Ave Maria). Poi gli venne una vena di tristezza, pensando ai preti che fanno educazione sessuale. Poi riprese, battagliero.
- Ma Joseph, così abbiamo al centro Dio (Padre, Figlio, Spirito Santo), poi abbiamo Spirito Santo- Padre, Spirito Santo-Figlio e Figlio-Padre attorno al Dio centrale. E All'esterno Spirito Santo, Padre e Figlio.
- Figliolo...
- Mi può chiamare in un altro modo?
- Va bene Carl, vedi (ripetendo la frase di prima): «La Trinità è Una. Noi non confessiamo tre dei, ma un Dio solo in tre Persone: "la Trinità consustanziale". Le Persone non si dividono l'unica
divinità, ma ciascuna di esse è Dio tutto intero.
- E fino a qui il disegno corrisponde!
- (continuando) "Il Padre è tutto ciò che è il Figlio, il Figlio tutto ciò che è il Padre, lo Spirito Santo tutto ciò che è il Padre e il Figlio, cioè un unico Dio quanto natura". "Ognuna delle tre Persone è quella realtà, cioè sostanza, l'essenza o la natura divina"» Catechismo Della Chiesa Cattolica, par. 253.
- Beh ora non torna più, questa seconda parte elimina, per così dire, le parti che differenziano il
Padre dal Figlio o il Figlio dallo spirito o...
- Esatto! Non sono distinguibili!
- Allora sono una cosa tipo questa:







- No figliolo, cioè Carl, in questo modo puoi distinguere fra i tre ovali.
- Ha ragione Joseph! Allora così!
- Perfetto! Sia lodato il Padre
- Sempre sia lodato lo Spirito Santo.
- Figliolo, non si risponde così!
- Ma padre, siamo arrivati alla conclusione che Padre, Figlio o spirito santo sono la stessa cosa! Ha solo tre nomi diversi! Il prete, sgomento, immaginò un mondo dove non si potesse distinguere tra i padri e i figli, tra chi
lavora e chi fa lavorare, tra un'idea e la sua realizzazione. Ci pensò su un bel po'. Poi esordì:
- Devi pensare ad una torta con tre fette...
La discussione continuò a lungo, in modo ciclico, tornando sempre alle fette di torta o a forme strane. Dopo molti anni i due si rincontrarono molto cresciuti. Ed arrivarono ad una conclusione: il mistero della trinità è un mistero del...

Ma le armi chimiche non doveva averle Saddam?

Gli zingari rubano i bambini?

E' la seconda volta che Castelli fa pressioni sui giudici dopo che questi hanno scarcerato delle zingare accusate da una mamma di aver provato a rapire il loro figlio.

La prima volta il giudice ritenne ridicolo che gli zingari avessero parlato tra loro dicendo "prendi bimbo" in italiano, come denunciato dalla mamma a unica prova della loro colpevolezza (le zingare infatti non si erano avvicinate) ed effettivamente il giudice ritenne vera l'ipotesi che una terza persona, probabilmente non zingara avesse detto al bambino quelle parole perché gli era caduto un giocattolo.

La seconda volta altre zingare sono state scarcerate con motivazioni simili. E Castelli, ministro della Giustizia, ha tuonato.



Ho scritto un'e-mail al caro Castelli:
Non si scherza su tematiche serie come quelle sui rom e sinti! Se si alimentano le leggende urbane sui bambini rapiti da rom, si compie un grave reato morale e giuridico. Sto valutando varie ipotesi in caso di mancata smentita del vostro ministro, tra cui querele a nome del popolo rom. Aspetto una spiegazione.


Prima di pubblicare una serie di articoli, voglio ricordare che mai uno zingaro della storia giuridica italiana ha rapito un bambino (a quanto risulta dalla magistratura).






Miguel Martinez

Il peggiore di tutti i falsificatori dei fatti di Lecco è stato Bruno Vespa, con la devastante potenza mediatica di cui gode (non dimentichiamo come creò dal nulla il "musulmano cattivo", Adel Smith). Il 10 febbraio, Porta a Porta è stato dedicato a due casi: quello di Lecco e la sentenza del giudice Clementina Forleo. Purtroppo non ho registrato la trasmissione, ma ricostruisco a memoria gli elementi fondamentali, perché sono ricchi di insegnamenti sul mondo in cui viviamo.
Lo spettacolo era su due piani: da una parte, un elegante e amichevole duello tra destra e sinistra; dall'altra, un feroce massacro compiuto congiuntamente da destra e sinistra contro le romnijà di Lecco e contro Muhammad Daki, un giovane marocchino che era stato appena assolto dall'accusa di terrorismo internazionale.
Chi getta le premesse dei discorsi, ovviamente li controlla.
A Porta a Porta, la discussione era:premesso che gli zingari rubano bambini e che i marocchini mettono bombe, i magistrati che li lasciano liberi sono rappresentativi di tutta la magistratura o sono mele marce? A tutti i telespettatori d'Italia scegliere.
Lo sfondo dietro Vespa infatti è un fermo-immagine demenziale dello stesso Daki, forse scelto per somigliare a una foto di Osama bin Laden. Se somiglia a bin Laden, deve essere colpevole, no? Ma durante la trasmissione, Daki viene intervistato nello studio del suo avvocato, Vainer Burani. Scopriamo così che Muhammad Daki è un ragazzo dal viso simpatico, che non somiglia per nulla al pauroso mostro che campeggiava alle spalle di Vespa.
Per creare un equilibrio apparente sono presenti, per la destra, Roberto Calderoli, per la sinistra Di Pietro.
Veramente illuminanti, a proposito della contrapposizione Polo/Ulivo, le risate complici con cui entrambi istigano Vespa a infierire su Daki: Vespa, con battute, insulti, prese in giro, cerca infatti di provocare Daki. Con la sua incommensurabile superiorità linguistica e di esperienza mediatica, Vespa presenta Daki come un terrorista, giudizio condiviso con entusiasmo da Di Pietro. Di Pietro, per quel poco che riesce a dire tra le risate, sostiene che lui personalmente avrebbe certamente condannato Daki. E soprattutto, il pubblico non si preoccupi, non tutti i magistrati italiani sono come la Forleo.
Vespa passa poi a parlare dell'episodio di Lecco. Per tre o quattro volte, parla esplicitamente delle "nomadi" o delle "zingare" che "hanno cercato di portare via una bambina" a Lecco. E' interessante vedere come Vespa si fermi di fronte all'ovvia definizione delle signore in questione come rumene: è un termine che Vespa non adopera mai. Non esiste l'ambasciatore dei "nomadi", ma quello dei rumeni sì, e potrebbe magari pure protestare.
La sceneggiatura demonizzante è in un certo senso geniale: c'è un'intervista, segnata da profonda simpatia e condivisione, con la madre e il padre della bambina, ripresi di spalle "per evidenti motivi". Così, si cerca di far risaltare la minaccia assolutamente inesistente che graverebbe sulle teste dei due. Ma c'è anche un altro elemento più sottile: proprio perché non si vedono i loro visi, i due diventano tutti i giovani genitori d'Italia, tutti ugualmente minacciati, prima dal terrorista marocchino e adesso dalle zingare rapitrici.
La madre dice che la "nomade" è arrivata "a una decina di centimetri" dalla bambina che era nel passeggino. La madre dice di aver preso al volo in braccio la bambina, senza specificare come abbia fatto a slegarla in un istante. Chiunque abbia slegato un bambino da un passeggino sa che non è un'operazione istantanea, e quindi viene da sospettare un po' di confusione da parte sua.
Straordinaria la prova che la madre più volte porta a dimostrazione delle intenzioni delle romnijà: non hanno rubato la sua borsa, "quindi cos'altro potevano volere"? Fermiamoci un attimo. Se una zingara non ruba, vuol dire che ha in mente qualcosa di peggiore. Poi ci si chiede perché gli zingari non trovano lavoro. Anche se sarebbe più corretto dire che gli zingari che hanno la fortuna di trovare un lavoro evitano di dire di essere zingari...
Poi il colpo di scena: il marito che dice di aver visto - cioè qualcuno che conosce gli avrebbe detto di aver visto - le stesse romnijà nel suo quartiere il giorno dopo, "sicuramente" lì per rapirgli di nuovo la bambina. Quella bambina evidentemente interessa l'Internazionale Rom.
Infine, la voce della scienza: Simonetta Matone, della procura minorile di Roma, dice, "non voglio alimentare leggende metropolitane" e poi le alimenta nella maniera più subdola:
"...però quando vengono fermati, spesso non si riesce a stabilire di chi sono figli". C'è una mezza verità assolutamente fuorviante in questa dichiarazione. Chiunque abbia una minima dimestichezza con storie di immigrati conosce gli incredibili stratagemmi che sono richiesti per risolvere problemi, che nemmeno esistono per i cittadini italiani.
Pensiamo a una donna che abbia un permesso di soggiorno in regola, ma che nasconda a casa sua il fratello clandestino e il figlio di lui. Se la polizia ferma per strada la donna con suo nipote, è molto probabile che la donna dirà che è il proprio figlio.
In tutta la trasmissione, nessuna voce, nessuna, nessuna, che si alzasse per condannare la mostruosa calunnia dei "rapimenti dei bambini".
Ma tutto questo, lo spettatore medio non lo vedeva nemmeno, e questa è forse la cosa più terribile: vedeva solo una banale polemichetta tra destra e sinistra sulla magistratura. Non poteva cogliere il linciaggio dell'immigrato marocchino, perché è ovvio che gli immigrati marocchini sono tutti terroristi; e per lo spettatore medio, che gli zingari rubino i bambini è ovvio quanto poteva essere una volta pensare che gli ebrei li sacrifichino a Pasqua, o come il cittadino medio dell'Alabama sapeva che i negri stuprano le belle donne bianche.
Non c'era nulla di strano, e proprio questo è terribile. La banalità del male.
Ma perché il male è così banale e ovvio? (http://www.kelebekler.com)






Razzismo leghista
Le zingare rubano i bambini
di Franco IsmanIl ministro delle Riforme, il leghista Roberto Calderoli, chiede l'intervento del presidente della Repubblica: «Ciampi non può più tacere e non agire di fronte a episodi tanto eclatanti che rischiano di far venir meno la fiducia nella magistratura» e ancora: «avanti così non si può proseguire, io intendo proporre l'elezione della magistratura inquirente: quando i magistrati verranno eletti dal popolo certi giudici dalle nostre parti non si vedranno più in giro».Non dimentichiamo che Calderoli è lo stesso che aveva istituito una taglia per l'omicidio del benzinaio di Lecco, l'omicidio di un cittadino “padano”. E poi si è dovuto constatare che l'omicidio era stato commesso da due sbandati, anch'essi “padani”.«È un fatto allarmante e non si può far finta che non sia successo niente — commenta Antonio Marziale, presidente dell'Osservatorio sui Diritti dei Minori — si tratta di un provvedimento inaccettabile e pericoloso. Se la magistratura l'ha adottato vuol dire che l'impianto legislativo è farsesco. La disinvolta derubricazione del reato dimostra quanto il livello di sicurezza sia deficitario». Ora per Marziale, « è necessario che le istituzioni garantiscano l'espulsione immediata delle due nomadi ».E perché non il rogo?Alcuni fatti che risultano dalle cronache e dalle interviste.Il fattaccio è avvenuto in pieno centro di Lecco, nel vicolo che collega il sagrato della basilica di San Nicolò con via Parini, in quel momento deserto. Nessun testimone quindi.Le zingare avevano il loro campo vicino a Milano, probabilmente andavano a “lavorare” (si fa per dire) a Lecco in treno, ma questo non è stato detto.Le zingare erano frequentatrici abituali della zona, la mammina che ha denunciato il tentato rapimento ha dichiarato che da due o tre mesi stavano ferme davanti a quel vicolo «E tantissime volte ci sono passata davanti; ma, al massimo, mi chiedevano l'elemosina, nulla di più».Le ricerche sono scattate dopo che la mamma era sfuggita al supposto tentativo di aggressione e si era rifugiata a casa, e le zingare sono state rintracciate in un bar nei pressi.Dopo mesi di indugio le zingare l'altro giorno hanno deciso di “passare all'azione” e, fallito il tentativo, sono tranquillamente rimaste in zona !Non metto in dubbio la buona fede della mamma che si è sentita aggredita e che, addirittura, ha avuto l'impressione che zingare e zingarella tentassero di portarle via la bambina. Ma mi domando e domando: come si fa a condannare due persone per “tentata sottrazione di minore” solamente sulla base di questa impressione ? Oppure perché la polizia ha acriticamente avallato questa interpretazione dei fatti ? Questo semmai è il punto grave della vicenda. Questa presunzione di colpevolezza per le sgradevoli zingare che, poveracce, vengono evidentemente convinte ad accettare il patteggiamento, che rappresenta una implicita ammissione di colpevolezza e preclude la possibilità dell'appello.E a questo punto l'episodio viene gonfiato, si sparano titoli colpevolisti in prima pagina, si chiede l'espulsione delle presunte colpevoli: una vera e propria caccia alle streghe.E Barbiellini Amidei sul Corriere di oggi, sempre in prima pagina, scrive:“Di rado una notizia va immediatamente a fondo nell'immaginario collettivo quanto l'impunita circolazione di due ladre di bambini colte sul fatto. Spaventa la gelida distanza fra la lettura solitaria della norma e la percezione generale del pericolo. Guai a lasciare spazio in mezzo alla gente alla sensazione di non essere difesa a sufficienza. Attraverso questa porta si infilano sentimenti irrazionali, dalla xenofobia allo « sceriffismo »”.“Ladre di bambini colte sul fatto”: quello che spaventa è l'assoluta presunzione di colpevolezza. Poi, Barbiellini Amidei, in un inciso finale messo fra parentesi dice:“(Una parola sui rom. La memoria del mondo impone di rendere finalmente onore anche al loro martirio. Fu un vero genocidio di nomadi, perpetrato dai nazisti con la stessa crudeltà dimostrata contro gli ebrei e contro gli omosessuali.Quelle due nomadi sciagurate buttano ancora un'ombra sul loro popolo, che tanto ha sofferto. La cronaca della piccola criminalità è oggi purtroppo popolata di nomadi che avviliscono lo slancio dei molti fra loro che invece patiscono immeritatamente il pregiudizio sociale che li bolla tutti come « ladri » . È un motivo in più perché quelle due ladre di bambini restino in carcere per un tempo credibile)”.Allora voglio riportare quanto scrive Sergio Luzzatto nella prefazione del libro “La persecuzione nazista degli zingari” di Guenter Lewy, recentemente pubblicato:“Con la loro cultura nomade gli zingari rappresentavano per i nazisti un'inaccettabile anomalia dell'ordine sociale e minacciavano la «purezza della razza». Perseguitati e deportati nei campi di sterminio vi morirono a migliaia: una strage assai poco conosciuta e troppo spesso dimenticata. Sudici, pigri, infidi, disonesti: i peggiori stereotipi legati all'immagine degli zingari circolarono tanto piú diffusamente nella Germania hitleriana, quanto piú l'ideologia nazista era fondata sul mito della purezza della razza e sull'incubo rappresentato dai cosiddetti «asociali». Alla prova dei fatti, i pregiudizi negativi non mancarono di tradursi in pratiche discriminatorie e persecutorie”.Adesso vengono bollati come ladri di bambini, molto peggio





E' la solita storia. Attribuiamo agl altri i nostri vizi e poi li picchiamo.
Da la Repubblicadell'11 febbraio 2005
I comunisti non mangiano i bambini, gli ebrei non li sacrificano al loro Dio, gli zingari non li rapiscono. Si sa che i pregiudizi sono proiezioni di timori irrazionali, personali e collettivi, e che, come diceva Einstein, "è più facile disintegrare un atomo che un luogo comune". Era dunque ovvio che la contestabile sentenza di Lecco avrebbe rilanciato l’ossessione e la leggenda della corte dei miracoli celebrata da Victor Hugo. Infatti i leghisti hanno affisso i loro manifesti elettorali "giù le mani dai nostri bambini" appropriandosi appunto del pregiudizio sul misterioso popolo dei ladri di neonati che, come insegnano i libri di storia, è addirittura un postgiudizio.In Europa si cominciò a pensare già tra sei e settecento di assorbire il problema del nomadismo "eslege" togliendo l’acqua al mondo irregolare degli zingari, vale a dire sottraendo i loro bambini agli accampamenti diseducativi per affidarli ai contadini e alla dolce e soda cultura stanziale della zappa. In tutta l’Europa centrale, che registrava il tasso più alto di popolazione zingaresca, per ben tre secoli decreti e leggi furono emanati per "liberare" quei bambini dai loro genitori naturali, sino alla soluzione finale nazista e dunque all’internamento di adulti e pargoli, tutti irrecuperabili come gli ebrei. Ne furono sterminati più di cinquecentomila.In questo nostro pregiudizio così antico e radicato c’è forse dunque un’astuta operazione di prestidigitazione storica per mettersi in pace con la propria coscienza puerofila e familistica. Insomma eravamo noi a rubare i loro bambini e invece nel fondo oscuro dell’immaginario collettivo da più di tre secoli sono loro a rubare i nostri.La prima domanda da porsi è dunque: davvero gli zingari rubano i bambini? A Lecco il segretario provinciale della Lega ha denunciato "il tentativo di rapire una giovane padana". E nel manifesto della Lega c’è scritto: "leggerete il futuro nelle nostre manette", che è il contrappasso promesso alle zingare divinatrici le quali, mentre ti leggono la mano o i tarocchi o i fondi di caffè, non solo fregano i portafogli dalle tasche, ma anche i figli dalle culle. I leghisti che, a firma del ministro Castelli, hanno preparato un disegno di legge per lo sgombero dei campi, cavalcano dunque la leggenda dei camerieri di Dracula, le carovane del film di Francis Ford Coppola, delle streghe esotiche e delle saghe notturne, le femmine dei rapimenti demoniaci che organizzano il racket dei mendicanti, allevano schiavi e li nascondono nei loro accampamenti ai margini delle città come in una specie di Aspromonte imprendibile. Si sa che la Padania, quella di ricchezza recente, è tremebonda come i kulaki sotto il potere bolscevico ed ha bisogno di mostri e di capri espiatori. Sino a una generazione fa, era infilata nell’albero degli zoccoli, con un reddito inferiore a quello della Sicilia. Rapidamente opulenti, questi falegnami diventati mobilieri e questi scarpari evolutisi in calzaturieri appunto come i kulaki vedono bolscevichi dappertutto: nei meridionali, negli sloveni, nei croati, negli extracomunitari neri, e ovviamente negli zingari che sono il massimo del "bolscevismo" perché rubano i bambini e, magari, se li mangiano pure.La Padania, tra le tutte le zone d’Italia, è la più esposta a cadere preda dei pregiudizi e degli umori razzisti. Ogni fenomeno illegale che sta dentro la fisiopatologia della modernità qui può diventare una minaccia apocalittica. Ecco perché il tentato rapimento della bimba di Lecco è il dettaglio che annuncia la calata degli Unni. Ed è una Attila "annebbiata dall’ideolgia marxista e buonista" il magistrato Cristina Sarli che a Lecco, con il rito del patteggiamento, per sottrazione di minore ha condannato a otto mesi e ha rimesso in libertà le due nomadi. Come si sa, una mamma le accusava del tentato ratto della sua bambina. Secondo i cronisti del quotidiano di Lecco La Provincia, che meglio di tutti hanno seguito la vicenda, né il giudice né il pubblico ministero e neppure l’avvocato difensore d’ufficio hanno potuto stabilire e provare con certezza che davvero si era trattato di un tentativo di sequestro. Non c’erano testimoni e, alla fine, il pubblico ministero, che si chiama Luca Masini ed è considerato molto severo, non ha creduto completamente alla versione un po’ confusa e contraddittoria della madre. Temendo dunque che al processo le due nomadi sarebbero state assolte, ha patteggiato la pena minore. E il giudice ha accettato il patteggiamento.Intendiamoci: questa sentenza non ci piace e ha ragione Castelli quando dice che bisognava o assolverle o condannarle severamente. La sentenza, con i suoi giochi di ombre, somiglia alla diagnosidi "quasi incinta". Era rapimento o non lo era? Non esiste il "mezzo rapimento". Ma le ragioni di Castelli si fermano qui. Che tra gli zingari ci siano abilissimi ladri di portafogli e svaligiatori di appartamenti è facilmente dimostrabile, ed è certo che sono dediti all’accattonaggio pietoso e spesso aggressivo. C’è anche una pessima retorica all’incontrario sugli zingari, sui ribelli, i banditi, la Carmen dionisiaca di Berlioz, le fisarmoniche, gli artisti, i coltelli. È la faccia concava dell’ottusità convessa, quella dei pregiudizi; fa il paio con la leggenda dei furti dei bambini. È la poesia dell’accattonaggio, la presunta bellezza esotica e imprendibile della maga Esmeralda che protegge il povero gobbo di Notre Dame... È insomma la retorica rovesciata dei miserabili, degli umili manzoniani, le "Anime perse" di De André, con l’idea che non bisogna chiamarli zingari ma Rom o Sinti, che i campi sono belli come accampamenti indiani nel bel mezzo delle metropoli, che i lori riti tribali sono gioia...Gli zingari sono dei profughi apolidi, gente che non sta da nessuna parte. Non ci piace la retorica che li beatifica, ma non sono ladri di bambini. E anche se quelle donne di Lecco davvero avessero tentato di rubare quella bambina, non risulta che gli zingari siano il popolo che ruba i bambini. Nelle statistiche del ministero degli Interni non c’è un solo precedente. È vero che non esistono statistiche serie sui furti di bambini, che rimangono una specialità della malavita organizzata: per il commercio sessuale, per la prostituzione, per il traffico delle adozioni. In Italia c’è un’antica tradizione orale che attribuisce agli zingari tentativi di sequestri nei mercati, per la strada, dalle macchine. E c’è anche la leggenda che i rapimenti stiano alla base dell’industria di espianti e impianti di organi, con elicotteri a motore acceso e svelti camioncini adibiti a sala chirurgica volante per rapire e subito consumare. Non ci sono dati reali e non ci sono neppure sospetti sui nomadi nelle sparizioni che tutti conosciamo, quelle di Angela Celentano, Mariano Farina, Salvatore Colletta, Pasquale Porfida, Benedetta Adriana Roccia, Santina Renda... sino al caso recente di Denise Pipitone a Mazara del Vallo. Del resto, se gli zingari rubassero davvero bambini, nell’Italia che è la vera patria della sacra famiglia e che del Cristo iconograficamente stracelebra la puerizia, nell’Italia dove Dio è bambino... allora sì che diventeremmo tutti jihadisti cristiani. Perché tutto in Italia tolleriamo, anche Castelli e Borghezio, ma sui figli no, quelli sono "piezz ‘e core", e non solo a Napoli.






Ecco un articolo, in alcuni tratti esagerato a mio parere, ma vi ricordo che 80 anni fa i bambini italiani lavoravano, e la criminialità era allo stesso livello di quella rom. E' la marginalità e il degrado urbano e culturale che portano all'illegalità.

Considerazioni sui luoghi comuni nei confronti degli "zingari"

Note sull'uso dei termini "zingaro" e "nomade".
La parola "zingaro" di per sé non è dispregiativa, come non lo sarebbe la parola "negro". Sfortunatamente un uso sbagliato di queste parole fanno, alla lunga, diventare scomodo il loro uso. Il termine "zingaro" ad esempio è corretto se nella trattazione ci si riferisce ad un insieme di gruppi molto eterogenei tra loro, per lingua, cultura, valori, modi di vita. Se si vuole invece far riferimento a gruppi particolari, è più appropriato utilizzare termini più specifici.
Dire, ad esempio, "gli zingari chiedono l'elemosina" è errato in quanto alcuni gruppi di zingari, come ad esempio i Sinti, non praticano l'elemosina in nessuna circostanza. Dire invece "gli zingari rubano" è errato per il fatto che il furto è sempre un comportamento individuale e deviante, condannato da tutti i gruppi.
Il termine "nomadi" va usato solamente nel caso si stia parlando di gruppi che effettivamente praticano il nomadismo. Come spiegato di seguito, utilizzare il termine "nomadi", senza conoscere le caratteristiche del gruppo specifico a cui si fa riferimento, è errato.

Gli zingari sono nomadi?
Non tutti i gruppi di zingari esistenti sono nomadi: alcuni sono nomadi, altri vorrebbero solamente vivere in caravans, altri ancora sono stanziali, hanno sempre vissuto in case e vogliono vivere in case. Sono molti gli esempi in italia di Rom che vivono in case, sia perché loro stessi si sono trovati una casa, sia perché gli è stata assegnata una casa popolare.
In generale, molte famiglie di Sinti preferiscono vivere "su ruote" pur essendo in gran parte stanziali. Tuttavia sono moltissime le famiglie di Sinti che vivono in abitazioni.
Inoltre, lo stile di vita delle minoranze, compreso lo stile di vita nomade, è tutelato da leggi internazionali, nazionali e regionali. Per questa ragione i Comuni si devono attrezzare con luoghi di sosta sia per persone che vivono "su ruote" senza viaggiare, che per persone, che a causa delle loro attività e stile di vita, si spostano.

Il "pericolo" dei campi zingari.
Non è vero che se i Comuni attrezzano luoghi di sosta o transito, aumenti in Italia la popolazione di zingari. Dopo un aumento dei Rom provenienti dall'ex Jugoslavia e da paesi come la Romania, a causa delle persecuzioni e della guerra, la situazione si è ora stabilizzata. Si ricorda che quasi tutti questi gruppi sono formati da famiglie stanziali, e che molti sono scappati da persecuzioni ed avrebbero quindi il diritto allo status di rifugiati. Se molte di queste persone vivono in campi, ai margini della società, è per inefficienza o colpevole mancanza delle amministrazioni locali.
Ovviamente tutti i Comuni devono responsabilmente considerare che se non sostano in un luogo sosteranno in un altro. L'affermare "che vadano da un'altra parte" non è civile ed è indegno di una qualunque amministrazione locale.
Vi sono inoltre gruppi che hanno sempre vissuto in determinate zone e a cui si devono trovare delle sistemazioni in quelle stesse zone: i Sinti veronesi ad esempio, sono nati, vissuti e risiedono sul territorio, ed hanno quindi il diritto ad una sistemazione sul territorio.
Attrezzare aree di sosta regolari, nel rispetto della dignità delle persone e dei criteri igienico sanitari, costa meno che assegnare case popolari. Non è vero quindi che questi "particolarismi" costino maggiormente alle amministrazioni. La stessa Legge Regionale prevede che le aree vengano, di preferenza, date in autogestione e che i residenti paghino le spese delle utenze ed un affitto mensile. In Veneto, non costa nulla ai Comuni attrezzare un'area, visto che vi sono fondi regionali a disposizione.
Chiaramente va fatta una seria pianificazione: se gli interventi sono sempre di emergenza si finisce con lo spendere molti soldi. Stranamente, vista la pressione della "gente" contro i "campi zingari", le amministrazioni locali preferiscono agire solo nell'emergenza, per tamponare situazioni oramai al limite della tollerabilità. Un amministrazione seria, invece, che decidesse per una seria pianificazione delle aree di sosta sul territorio, otterrebbe una serie di vantaggi, tra cui:
ottimizzare la spesa;
creare delle aree dove le persone possano vivere bene e quindi possano più facilmente integrarsi nel tessuto sociale, con tutti i diritti e doveri che questo comporta;
mostrare alla popolazione che una pianificazione seria e ben fatta ha conseguenze positive e che la "gente" ha scelto bene i propri amministratori, e che questi non agiscono su spinte populiste come chiunque è capace di fare, ma sono in grado di ottimizzare le risorse a disposizione e pianificare interventi cha abbiano un impatto duraturo sul tessuto sociale;
quando le persone si sentono meno escluse e discriminate, risulta più facile il dialogo e una serena integrazione, e questa integrazione vuol dire anche una maggiore indipendenza economica e dai servizi di assistenza;
Vi sono molti casi in cui, dopo sollevazioni popolari contro una seria pianificazione delle amministrazioni, la gente ha compreso la serietà degli interventi e apprezzato questi interventi.
Se invece non si interviene in maniera pianificata e intelligente, l'emergenza continuerà in un modo o nell'altro, l'integrazione sarà più difficile, le spese saranno meno produttive e sul lungo periodo si sarà facilitata l'esclusione di persone che dipenderanno di più dal sistema.
Se inoltre non vi sono sufficienti aree di sosta sul territorio nazionale, come si può pretendere che non sostino in aree abusive o irregolari? Si ricorda anche che non è possibile sostare neppure su un terreno privato se non vi è un'autorizzazione del Comune, e in questi casi risulta difficile avere tutti gli allacciamenti necessari per condurre una vita dignitosa. Per questa ragione i Comuni devono attrezzare aree di sosta regolari, e per questa ragione si consiglia che vari Comuni concordino azioni in modo da attrezzare l'intero territorio con aree di sosta regolari.
Molti gruppi sono spesso disposti anche ad acquistare terreni che possano però essere messi a norma ed attrezzati secondo la legge. In questo caso il Comune può acquistare ed attrezzare il terreno e chiedere ai residenti di gestirlo e di acquistarlo a rate mensili.
Ciò che invece risulta più complicato è chiedere ai Rom e ai Sinti di acquistare un terreno agricolo e attrezzarselo: questo perché su un terreno non edificabile non è possibile ottenere allacciamenti regolari di acqua, luce, gas e in modo particolare l'allaccio fognario.
In ogni caso si ricorda che la legge regionale predispone fondi per la costituzione di aree di sosta e che le spese non ricadono quindi sul bilancio dei Comuni. La poca volontà dei Comuni nel rispettare questa legge, è dovuta quindi non a problemi di bilancio, ma al non voler risolvere questioni risolvibili, per populismo e scelte opportunistiche.
Chiaramente vi sono cose che non piacciono a tutti i cittadini, ma rientrano nei doveri che tutti dobbiamo rispettare per vivere in una società civile. Forse non a tutti piace dover prendere il proprio sacchetto della spazzatura e buttarlo nel cassonetto, ma se lo buttassimo fuori dalla finestra non sarebbe civile. Forse non a tutti piace pagare le tasse, ma si ottengono dei servizi e si rende questa società più giusta; ovviamente se le tasse sono spese male da parte delle istituzioni, abbiamo diritto di lamentarci, se vi è corruzione dev'essere scoperta e combattuta, se le scuole pubbliche hanno dei problemi vanno migliorate. Lo stesso vale per i campi di sosta: se sono fatti bene, se le istituzioni pianificano la spesa con cura, se vi sono controlli nella gestione, alla fine la società migliora e viviamo tutti meglio ottimizzando le spese.
Così come ogni cittadino ha diritti e doveri, la stessa cosa vale per i Comuni. Ogni cittadino ha diritti e doveri perchè gli interessi di tutti vanno tutelati se non ledono altri cittadini. Anche i Comuni hanno dei doveri, che servono affinché, per favorire gli interessi di un Comune, non se ne calpesti un altro.

Gli zingari non lavorano?
Dire gli zingari non lavorano è come dire che Verona è una città razzista. Non bisogna mai credere alle generalizzazioni.
Ricordiamo che quando si parla di "zingari" si parla di un mondo molto eterogeneo, che tra gli "zingari" vi sono cittadini italiani, stranieri regolari, profughi e stranieri irregolari. A molti datori di lavoro non interessano queste distinzioni e se sanno che una persona è uno zingaro, difficilmente gli danno un lavoro oppure gli offrono un lavoro in nero. Tuttavia ci sono anche molti datori di lavoro seri e molti Sinti e Rom hanno sia lavori dipendenti che attività in proprio.
I vari gruppi di zingari svolgono le attività più disparate. Molto dipende dalla loro provenienza e dalle esperienze lavorative avute in precedenza. Alcune di queste attività sono state tramandate, altre sono un'attualizzazione di quelle tradizionali, in altri casi si tratta di nuove attività e di lavori dipendenti. Alcuni si dedicano al commercio, altri si dedicano ai lavori stagionali in agricoltura, altri ancora al piccolo artigianato.
Certo la disoccupazione colpisce questi gruppi più di altri dovuto alla loro marginalità sociale. Ma questo è un risultato della disuguaglianza economica e dell'emarginazione, e non è un'equazione raziale o etnica che vorrebbe giungere alla conclusione che gli zingari sono dei cialtroni.
Purtroppo è vero che più un gruppo è spinto fuori dal contesto sociale ed economico, più può propendere a svolgere attività altrettanto fuori dal contesto, includendo attività illecite. Questo avviene in tutto il mondo ed in tutte le etnie. Una serena integrazione e una lotta contro la discriminazione etnica sono le armi migliori per prevenire che questo accada.

Gli zingari non pagano le tasse?
Il Nord Est è famoso per la sua evasione fiscale, e non perché vi siano tanti zingari. Tutti i lavoratori dipendenti pagano le tasse, tutti i giostrai pagano le tasse: ai lavoratori di queste due categorie risulta molto difficile evadere le imposte, e questo non solo nel caso degli zingari. Per tutti coloro che hanno un'attività in proprio, spetta a chi di dovere controllare che paghino il dovuto.
A causa di questi luoghi comuni ignoranti, gli zingari sono tra i gruppi più controllati dalle forze dell'ordine, e possiamo quindi dormire sogni tranquilli.
Purtroppo vi sono molti italiani "per bene" che approfittano delle condizioni disagiate di certi gruppi di Rom e Sinti per farli lavorare in nero o per rifilargli dei bidoni.
Un piccolo esempio: sulla questione dei terreni da acquistare, sono purtroppo molti i casi individuati di gruppi di Rom stranieri che hanno acquistato a caro prezzo un terreno da un privato, rivelatosi poi vincolato perché terreno alluvionale, di esondazione o con vincoli di tipo naturalistico. Questi casi accadono perché molti Rom stranieri non conoscono bene la legge italiana, e alcuni gruppi cercano terreni vicino a corsi d'acqua. Approfittare di situazioni di necessità e della scarsa conoscenza delle leggi è da considerarsi puro sciacallaggio.

Non pagano le bollette?
Anche questa affermazione risulta ridicola: controlliamo forse se il nostro vicino paga le bollette? No, anche perché sappiamo che se non paga, gli tagliano il servizio. Nel caso specifico dei Sinti che risiedono al Gavagnin, pagano regolarmente le utenze, ed i contatori sono stati messi solo dopo previa autorizzazione del Comune.

Gli zingari sono bugiardi?
Alcuni gruppi, quando si sentono emarginati e disprezzati hanno una grande diffidenza nei confronti degli appartenenti alla società dominante. È possibile quindi che reagiscano a questa situazione in modo da cercare di salvaguardare se stessi e il gruppo. Questo può indurre anche a comportamenti che non sono considerati "corretti" nè dalla nostra cultura, nè da nessun'altra cultura al mondo. Tuttavia sono comportamenti che possono essere giustificati in determinati contesti e nei confronti di persone che non solo non appartengono al "mio" mondo, ma appartengono ad un mondo che perseguita e discrimina il mio.
Questa è una regola universale di sopravvivenza. Ma detto questo, si ripete il concetto che questi sono comportamenti individuali e non vanno quindi generalizzati a popoli o etnie. Nel momento in cui si generalizza, questa affermazione diventa razzista.
La società dominante è quella che deve, proprio per la sua forza, cercare di essere flessibile ed aprire canali di comunicazione non ipocriti con le minoranze. Una volta che vi sia un rapporto sincero, diventa difficile mentirsi a vicenda.
Per coloro che conoscono la situazione che si è creata con i Sinti veronesi, pensiamo che chiunque abbia un minimo di sensibilità possa aver notato le bugie, i comportamenti ambigui, le promesse non mantenute e le reazioni dettate da interessi personali di amministratori locali e partiti politici veronesi. In questo clima risulta difficile accusare delle minoranze di comportamenti non corretti.
L'Assessore alla Sicurezza di Verona ha, ad esempio, affermato che il terzo sgombero era dettato da motivi di igiene, senza considerare che queste persone non avevano un posto dove andare, tantomeno un posto che potesse garantirgli di vivere in una condizione igienico-sanitaria accettabile. Ha inoltre affermato che i "cittadini" si erano lamentati, dimenticandosi che pure loro sono cittadini ed affermando in modo implicito che vi sono diverse categorie di cittadini con diversi diritti e doveri.
In tutta questa vicenda, non abbiamo mai sentito una bugia o un'affermazione incorretta da parte dei Sinti, che hanno subito le angherie di molti con esemplare dignità.

Gli zingari chiedono l'elemosina e sfruttano i bambini?
Alcuni zingari chiedono l'elemosina, altri no. Questa è un'altra di quelle affermazioni che denotano la poca preparazione delle persone. Questa poca preparazione è anche giustificabile nel cittadino medio, ma nettamente condannabile in persone con cariche istituzionali che prendono decisioni sulla vita delle persone. I Sinti ad esempio non chiedono l'elemosina, mai.
Vi sono gruppi di Rom, provenienti dall'ex Jugoslavia o da altri paesi dell'Est Europa che chiedono l'elemosina.
Siamo d'accordo sul fatto che i bambini dovrebbero invece andare a scuola e i neonati dovrebbero stare a casa, al caldo, in un luogo pulito. Tuttavia fare queste affermazioni risulta spesso superficiale per varie ragioni, che elenchiamo di seguito.
Ci meravigliamo spesso che bambini chiedano l'elemosina ai semafori, tutto il giorno, con il caldo e con il freddo, in mezzo allo smog. Non ci chiediamo mai perché sono disposti a farlo, non ragioniamo mai sulle possibili alternative che hanno queste persone, sulle alternative offerte dalla nostra società a questi gruppi. Non ci chiediamo mai dove vivono, quando tornano a casa, se il posto dove abitano non sia peggio di una giornata ad un semaforo.
Nessuno al mondo è così stupido da passare tutta una giornata a soffrire ad un semaforo quando può avere di meglio. Questi bambini avrebbero diritto a giocare in un luogo decente, a vivere in un luogo decente, alla scuola, alla salute.
Molti dei bambini che chiedono l'elemosina, non lo fanno per obbligo dei genitori, ma per scelta propria, perché si sentono in dovere di responsabilizzarsi di fronte alla difficile situazione in cui riversa la famiglia. Lo stile di vita di questo tipo di famiglie Rom fa in modo che i bambini vengano coinvolti in ogni aspetto della vita della comunità. Quanti dei nostri bambini possono essere considerati così maturi e responsabili? Quanto la nostra società deve essere considerata complice nel generare questo tipo di ingiustizie?

Gli zingari non mandano i bambini a scuola?
Questa affermazione è falsa. Nel concreto della situazione di Verona, tutti i bambini Sinti vanno a scuola, molti hanno cominciato dalla materna. Questo nonostante le difficoltà create dall'amministrazione locale, che senza una seria pianificazione, crea una costante incertezza alle famiglie.
Prima che il Comune sgomberasse i Sinti dalla zona Stadio, il Provveditorato agli studi di Verona aveva preso una posizione chiara inviando due lettere agli assessori del Comune di Verona chiedendo di non spostare le famiglie poiché molte avevano bambini in età scolare regolarmente iscritti nelle scuole. Le lettere affermavano che tutti i bambini in età scolare erano iscritti e che vi erano progetti per facilitare una serena integrazione di questi bambini nell'ambito scolastico.
Gli stessi consiglieri ed assessori che chiedono a gran voce l'integrazione di questi gruppi, e talvolta l'assimilazione, che dichiarano che gli zingari sfruttano i bambini e non li mandano a scuola, sono anche coloro che non vogliono che si faccia per loro un'area di sosta, sono anche coloro che hanno sgomberato continuamente queste persone e si oppongono ad una soluzione dignitosa nel rispetto della legge.
Ma per una minoranza, la scuola può anche essere vista come un pericolo se ci si sente emarginati e discriminati: la coesione socio-culturale interna al gruppo diventa infatti elemento importante per chi si sente minacciato dall'esterno, e la scuola può essere vista come uno strumento per assimilare i propri figli e sradicarli dalla propria cultura. Laddove la società dominante si mostri tollerante e non aggressiva, non vi sono problemi di inserimento scolastico, ed anzi la scuola è vista come un canale privilegiato per entrare in contatto maggiormente con la società dominante e apprenderne i metodi di comunicazione e gli stili di vita.
Spesso, però, i bambini non possono andare a scuola per molti motivi tra cui elenchiamo:
nel caso di Rom stranieri, se i genitori non sono in regola;
se la famiglia non ha altre fonti di sostentamento;
se i genitori dei nostri bambini non vogliono zingari sporchi nelle classi dei loro figli, perchè gli attaccano le malattie e fanno rallentare tutta la classe;
se questi bambini non hanno un luogo dove potersi lavare;
se questi bambini non hanno un luogo dove poter studiare;
se i bambini si sentono insultati e disprezzati dagli altri senza che nessuno intervenga;
se le maestre li trattano come minorati semplicemente perché hanno un diverso modo di comunicare o non parlano correttamente l'italiano.

Gli zingari rubano?
Rubano gli italiani? Alcuni sì, ma si spera che la maggior parte siano onesti. In Italia abbiamo e abbiamo avuto fior fiore di personaggi "italiani etnici" certamente non in bisogno, che rubano ed hanno rubato ai cittadini ed allo Stato.
Questo discorso non deve però giustificare il comportamento illegale di nessuno. Il rubare è condannato, in diversi modi, in tutte le società. Non esiste quindi una società dove il rubare sia considerato normale, e questo perché il rubare è un comportamento autodistruttivo per una società. Chiaro, rubare ad un' "altra" società può già essere più comprensibile, quando l'altra società non ha un sistema condivisibile di valori, quando l'altra società isola ed umilia, ed in particolare se è la società dominante.
Si è già parlato dell'eterogeneità del mondo "zingaro", quindi sarebbe già meno negativo che chi facesse queste affermazioni si prendesse per lo meno la briga di distinguere verso quali gruppi volge l'accusa.
Secondo la legge italiana, nessun cittadino dev'essere considerato colpevole fino a che non si provi il contrario. Figuriamoci quando non si rivolge un'accusa ad un cittadino, ma ad un intero gruppo etnico. Anzi, ad un insieme di gruppi etnici distinti tra loro ed unificati solo dalla nostra ignoranza.
Tra i vari gruppi di zingari, vi saranno pure alcune persone che praticano attività illecite. Probabilmente i gruppi più emarginati si dedicheranno maggiormente a queste attività. Del resto, nei quartieri delle nostre città, quelli più emarginati, il tasso di delinquenza è più alto. Non è quindi un imprinting genetico quello che spinge le persone a rubare, ma l'emarginazione, emarginazione che colpisce alcuni gruppi zingari più di altri e più della media degli italiani.
Molte persone dichiarano di aver avuto la casa "svaligiata dagli zingarelli". In molti casi chi dichiara questo non ha la più pallida idea di chi sia stato a svaligiargli la casa. In alcuni casi possono pure essere stati gli zingari. Certo, succederebbe sicuramente di meno se fossero integrati, se sentissero che la nostra società gli appartiene, e che loro appartengono alla nostra società, che ne possono condividere i valori, che vi è un clima sereno di convivenza, che vi sono spazi sociali ed economici per allevare i propri figli senza continue umiliazioni, per andare a lavorare senza la paura di tornare e non trovare più la baracca o la roulotte.
I criminali vanno puniti, non vi sono dubbi. Ma i cittadini devono anche essere messi in grado di poter rispettare la legge. Un'amministrazione che invece crea continui ostacoli ai propri cittadini, crea anche i presupposti perché sia più facile infrangere la legge.
Il crimine va anche analizzato e compreso. Non certo giustificato. E sicuramente il crimine non va strumentalizzato e usato a fini politico-elettorali. Se si vuole fare un lavoro di prevenzione, si deve intervenire proprio sul lavoro di analisi delle situazioni devianti.
Se una persona delle istituzioni dichiara che gli zingari rubano cade in un numero di contraddizioni, tra cui le seguenti:
zingaro è un termine estremamente generico e non individua neppure una particolare etnia che abbia un modo di vita omogeneo;
generalizza in modo razzista un comportamento ad un'intera popolazione;
lancia un messaggio negativo a tutti gli altri cittadini ed in questo modo istiga al razzismo;
non esprime un atteggiamento costruttivo che possa portare ad un miglioramento della situazione, non analizza, non pianifica, non comprende, sta solamente infamando ed aizzando.

Gli zingari non vogliono integrarsi?
Certo, neppure noi vorremmo integrarci in una società che ci insulta, che ci isola, le cui cariche istituzionali invece di pianificare interventi saggi, utilizzano l'ignoranza della gente per i loro interessi politici.
In ogni caso, moltissimi Sinti e Rom vivono in casa e hanno uno stile di vita oramai molto simile allo stile di vita italiano, molti sono perfettamente integrati nella società e molti hanno oramai da tempo perso le loro particolarità culturali e sono stati assimilati dalla società italiana. Ovviamente tutte queste persone non le notiamo.
Guarda caso chi afferma che certe minoranze non si vogliono integrare, di solito sono i gruppi più estremisti e razzisti, che rivendicano l'assimilazione di queste persone, senza dargli alcuna possibilità di dialogare, senza volergli dare neppure uno spazio dove vivere dignitosamente. Ci chiediamo come ci si possa integrare o assimilare delle persone se non vengono offerte opportunità e spazi civili per farlo.
Vi sono nobili esempi in Italia in cui un atteggiamento civile delle istituzioni e della società ha reso possibile un'integrazione serena. Più le minoranze si trovano in un ambiente sereno, e più facilmente si integreranno fino all'assimilazione. Quando invece si trova un terreno ostile, si deve stare all'erta, difendersi, chiudersi.
Qualche personaggio di queste fazioni a questo punto direbbe: "E allora, che se li prendano loro questi zingari!" Certamente questa non è un'analisi politica profonda. Creare problemi e scaricarli su altri. Oramai, il localismo di certe forze politiche ha raggiunto limiti ridicoli. Il Comune di Verona vorrebbe "scaricare il problema" su un altro Comune; si rifiuta l'ingerenza della Provincia perché, secondo queste forze, la Provincia sarebbe meno vicina ai cittadini; si critica la Regione per aver fatto una legge ambigua.

Perché è razzista dire che gli zingari rubano, sfruttano i bambini, …
Ogni affermazione su comportamenti sia negativi che positivi che coinvolga un'intera etnia è per definizione razzista.
Dire "gli italiani sono mafiosi" vuol dire essere ignoranti e razzisti:
ignoranti perché vuol dire che non si conoscono gli italiani a sufficienza per sapere che vi sono un sacco di persone per bene;
razzisti perché si attribuisce ad un popolo una caratteristica di comportamento, quando i comportamenti appartengono ai sigoli individui.
Lo stesso vale se diciamo che "gli italiani sono onesti": il razzismo può apparire anche in dichiarazioni fatte in positivo. Un po' di tempo fa, un personaggio della Lega Nord disse che non erano razzisti perché, ad esempio, consideravano i cingalesi bravi, puliti e duri lavoratori: questa affermazione ha gli stessi contenuti razzisti di una che dichiarasse che i cingalesi sono cattivi, sporchi e cialtroni.
Quelli che noi chiamiamo con un termine generico "zingari", sono una serie di gruppi molto eterogenei, che hanno percorso strade differenti, che hanno vissuto in paesi distinti, che ora parlano lingue diverse e hanno nazionalità diverse. Per fare un esempio, i Sinti sono giunti in Italia nel XV secolo circa, sono tutti cittadini italiani, sono pochi quelli che parlano ancora la lingua originaria di provenienza sanscrita. Vi sono anche gruppi di Rom giunti in Italia da secoli, tra cui i Rom abruzzesi e molisani, i Rom campani, i lucani, i calabresi e i pugliesi. Nel primo dopoguerra giunsero gruppi di Rom Kalderash (provenienti da Fiume) e Harvati (ossia croati).
Vi sono poi i gruppi giunti dall'ex Jugoslavia e dall'Europa dell'Est negli anni '80 e '90. I Rom Xoraxané, ad esempio, sono giunti in Italia a seguito delle tensioni e guerre scoppiate nell'ex Jugoslavia. Sono principalmente bosniaci, kosovari, montenegrini. Si chiamano Xoraxané dal Corano e sono infatti di religione musulmana. Dall'ex Jugoslavia sono giunti anche gruppi di Rom Kanjarija, provenienti dalla Serbia, dalla Macedonia e dalla Croazia e di religione cristiano ortodossa. In Italia sono giunti inoltre alcuni gruppi di Rom provenienti dalla Romania: anche queste persone vivevano in villaggi ed erano sedentari, e sono scappati dalla Romania a causa delle forti persecuzioni raziali che li stanno colpendo.
A partire dal XV secolo si cominciano ad avere testimonianze di gruppi zingari presenti in diversi Paesi dell'Europa Occidentale. I Gitani spagnoli sono giunti anche loro in Europa nel secolo XV o XVI. In Francia vi sono gruppi di Manouche, che in sanscrito vuol dire "gente", giunti anche loro circa nello stesso periodo e che presentano similarità con i diversi gruppi di Sinti italiani. In Macedonia, a Scopje vi è un intero quartiere Rom, con un sindaco Rom, sono tutti stanziali come gran parte dei Rom provenienti dall'ex Jugoslavia. Vi sono villaggi e quartieri Rom in Ungheria, in Romania, in Slovacchia e nella Repubblica Ceca.
Ogni gruppo di "zingari" ha quindi una sua storia e suoi modi di sostentarsi, alcuni hanno dovuto cambiare molto il loro stile di vita a causa degli eventi e delle migrazioni che si sono imposte.
I campi come li vediamo in Italia, sono in gran parte invenzioni nostre. Sono baraccopoli come se ne vedono in tutto il mondo, frutto della disuguaglianza sociale, e non costruzioni di un ideale Rom.
Ovviamente ci sono zingari più attenti all'igiene di altri. Molto dipende da un diverso concetto di igiene e pulizia che si deve adattare alle condizioni di vita e molto dipende dalle abitudini familiari. Del resto, chi di noi non ha parenti o vicini di casa con abitudini igieniche diverse dalle nostre? Quante volte ci si lamenta del comportamento degli altri condomini? In alcuni paesi dell'America Latina dove l'usanza è di farsi la doccia tutte le mattine, gli europei vengono considerati degli sozzoni, specialmente i francesi. Certo questa è una considerazione razzista, ancora più evidente a noi che consideriamo i francesi più puliti e ordinati degli italiani (altra considerazione razzista).

a cura di Lorenzo Monasta
del coordinamento laico antirazzista Cesar K. di Verona







Il non senso comune sugli zingari
LUCA FAZIO
Dopo sei secoli di persecuzioni, e a sessant'anni dal loro sterminio programmato, le cronache di questi giorni ripropongono il medesimo slittamento della questione zingara alla zona stregonesca. Gli zingari rubavano e rubano i bambini e si cibavano (si cibano ancora?) di esseri umani. Chiunque dotato di buon senso, come il giudice che ha rilasciato le tre presunte rapitrici, sa che a Lecco i bambini non sono in pericolo perché nessuno cerca di rapirli. E a questo punto non è importante ribadire che la destra sta solo attaccando la magistratura senza nemmeno premurarsi di leggere le carte, o guardare la realtà. Importante, cioé spaventoso, è osservare che «il comune sentire del popolo», che il ministro della giustizia Castelli agita contro i magistrati e vorrebbe iscritto nel codice penale, si nutre ancora delle stesse assurde convinzioni. Il luogo comune degli zingari ladroni cannibali e rapitori di bambini è presente in letteratura e nel melodramma. Dalla Gitanilla di Cervantes (1613) al Trovatore di Verdi (1853), dove la vicenda parte proprio dal presunto tentativo di rapimento commesso da una zingara che poi viene messa al rogo - «abbietta zingara, fosca veliarda».La storia della persecuzione degli zingari è piena di esempi edificanti del «comune sentire del popolo». In Turchia e in Albania si credeva che gli zingari scoperchiassero le tombe per cibarsi di cadaveri. Nel 1782 in un processo per antropofagia vennero accusati 200 zingari, e solo dopo feroci torture e 40 uccisioni un'ulteriore indagine dimostrò che i presunti divorati erano altrove, vivi e vegeti. L'ultimo processo per cannibalismo è molto più recente: 1927, in Slovacchia. Poi, l'olocausto.La storia è ricca anche di interventi legislativi che potrebbero ispirare i colleghi leghisti del ministro Castelli, che in questi giorni stanno facendo a gara per proporre leggi più severe contro gli zingari (un tal Boni, per ora, si limita a chiedere l'abrogazione della legge regionale lombarda «per la tutela delle popolazioni tradizionalmente nomadi»). Negli stati tedeschi, tra il 1416 e il 1774, ne furono promulgate 148. Nel 1554, Elisabetta I d'Inghilterra emanò un decreto che prevedeva la pena di morte non solo per gli zingari ma anche per chi si intratteneva con loro. Quasi ovunque, tra il 1471 al 1637, furono emesse sentenze di morte contro gli zingari: da Lucerna a Brandeburgo, in Spagna, Germania, Olanda, Portogallo, Inghilterra, Danimarca, Francia, Fiandra, Boemia, Polonia, Lituania e Svezia. Più moderno - basterà un altro presunto rapimento... - l'esempio del governo francese che dal 1765 istituì una ricompensa in denaro per chi catturava gli zingari. Nel XIX, in Danimarca, la caccia allo zingaro era addirittura una specie di sport: nel 1835, un nobile, dopo una battuta di caccia annotò «uccisa una donna con il piccolo». In Boemia si tagliava l'orecchio destro alle zingare, in Moravia quello sinistro. E così via, fino a Birkenau.Non sono solo vecchie storie se «il comune sentire del popolo», dopo quattro secoli, è ancora in sintonia con l'inquisitore Pierre De Lancre (XVII secolo): «Gli zingari vagabondi sono mezzi diavoli...imbroglioni senza patria...nascono in ogni luogo, camminfacendo e traversano le nazioni; e nei campi e sotto gli alberi fanno danze e si comportano a metà tra saltimbanchi, come al sabba». Altrimenti non si spiegherebbe perché se per un meschino calcolo politico c'è chi ripropone la streghizzazione degli zingari, dall'altra parte, a sinistra, chi dovrebbe conoscere questi meccanismi non ha il coraggio di aprire bocca e al massimo non sa far altro che richiamarsi all'indipendenza della magistratura

Ballarò

Fuksas: "Il rapporto demografico tra città e periferia di Parigi è di
circa uno a dieci, ossia in periferia vivono dieci volte più persone che
in città. Ovviamente non esistono in italia situazioni demografiche di
questo tipo ma il pericolo periferie esiste anche qui, all'interno del
raccordo anulare per esempio, oppure nell'hinterland milanese. Finchè le
istituzioni locali, ma anche nazionali, non si renderanno conto che la
periferia _E'_ la città stessa correremo anche noi questo rischio di
differenziazione sociale e culturale."
Buttiglione: "Allora... vedete... in italia non credo esista questo
rischio, primo perchè abbiamo una situazione demografica diversa, poi
perchè in italia esiste un grande volontariato legato al mondo cattolico
che costituisce dì per se un forte legame integrativo con le minoranze
etniche, sociali e culturali"...
- segue un po' di brusìo in studio, Floris ripristina l'ordine -
Sempre Buttiglione: "Allora... lasciate mi finire... Per una vera
integrazione servono: LA CHIESA, - altro brusio in studio - LE
PARROCCHIE..."
Buttiglione viene interrotto dalle risate del pubblico in studio, Fuksas
viene inquadrato con le mani tra i capelli (con la tipica espressione di
chi sta guardando la finale dei mondiali USA'94 quando Baresi sbaglia il
rigore).