giovedì, novembre 17, 2005

Donne! Ribellatevi!

L'altro giorno, parlando con i miei amici ingegneri, ho scoperto che studiano per i soldi e quindi per scopare. In effetti la stabilità economica è un prerequisito per avere una buona relazione sentimentale. In questa società. E non mi dite che senza soldi si scopa bene. Viene ostacolato bellamente in tutti i modi. Dalla famiglia e dalla società. E non è moralità, il motivo è un altro. Leggete l'articolo e capirete. Un modo per destabilizzare questa società sarebbe il rifiuto di queste regole sul sesso. I maschi dovrebbero rifiutarsi di avere una promessa di felicità in cambio della propria vita e le donne di essere merce di scambio, un premio (ambito!).


Il linguaggio del sesso tra evoluzione e cultura
Franco Prattico, La tribù di Caino. L'irresistibile ascesa di Homo Sapiens, Raffaello CortinaEditore, Milano 1994.

Il raggiungimento della stazione eretta nella storia dell'evoluzione umana rappresenta un punto cruciale: gli arti anteriori, liberi dal compito monotono di sostenere il corpo, diventano duttili strumenti per cacciare, costruire, dipingere; le idee possono concretizzarsi in oggetti, la creatività può esplorare nuovi ambiti. Ma un imprevedibile risvolto si accompagna alla conquista della postura bipede: la nascita dell'eros. Il nuovo assetto anatomico della specie umana rende nvisibili i genitali femminili, e rende quelli maschili involontariamente esibiti; la scomparsa dei segnali della ricettività sessuale femminile premia altri caratteri, altri comportamenti, che accendono il desiderio e bilanciano l'assenza del periodo di estro nella donna. La passione da quel momento modella l'organizzazione sociale, il rapporto uomo-donna, la cura della prole, l'istinto stesso di conservazione della specie.
"In principio era l'eros"
È la più potente delle pulsioni di natura, e anche la più anarchica. E quindi la più pericolosa per la famiglia umana fin dai suoi esordi: sia perché la sessualità è una forza che tende a sradicare qualsiasi struttura le sia di ostacolo, sia perché quella umana ha alle spalle una storia tutta particolare. A differenza della maggior parte degli altri mammiferi e degli stessi primati, la femmina umana infatti non presenta periodi di "estro", quei segnali visivi e olfattivi che "segnano" esternamente il suo periodo di ricettività e di fecondità e accendono nei maschi comportamenti di appetenza. Probabilmente, a detta dei sessuologi, è una delle conseguenze della conquista della stazione eretta che, ristrutturando profondamente l'organismo e la geometria somatica, ha reso "invisibili" le parti genitali femminili inibendo e quindi facendo scomparire le vistose manifestazioni che al momento dell'ovulazione contrassegnano la maggior parte degli altri primati: tumefazione e colorazione dei genitali esterni, emissione di feromoni ecc. Al momento in cui è feconda, la femmina umana non trasmette più all'esterno (ma anche difficilmente percepisce al proprio interno) informazioni sul suo stato.
È una situazione a rischio: perché l'annullamento dell'annuncio del periodo fecondo potrebbe far "dimenticare" ai maschi – nel silenzio del campanello ormonale scatenato da quei segnali – l'attività sessuale, indispensabile alla specie per la sua perpetuazione. Oppure estendere illimitatamente sia la ricettività femminile, anche al di fuori dei periodi fecondi, sia l'interesse sessuale maschile. È quello che è avvenuto alla nostra specie: che a quel dilagare della sessualità ha risposto con entusiasmo. Con la conseguenza, scrive il sessuologo svizzero Gerard Zwang, che "fin dalle origini i primi uomini e le prime donne, in quanto coscienti, erano già degli ossessionati dal sesso": favoriti in ciò dalla estensione, ben maggiore che nei primati coevi, delle aree cerebrali associative e della memoria, che giocano un ruolo non indifferente nella riaccensione del desiderio, al di là degli stimoli puramente biologici (come prova la fortuna, in qualsiasi epoca, della produzione di materiale erotico o anche pornografico). Naturalmente in questa "mania del sesso" non siamo i soli: altri nostri "parenti" estendono al di là dei periodi destinati alla riproduzione la loro attività sessuale. Per esempio gli scimpanzé pigmei (i bonobo), tra i quali l'intensa e gratificante attività sessuale funge tra l'altro da ammortizzatore delle tensioni sociali.
Nella nostra specie, però, la sparizione dei segnali dell'ovulazione è compensata e sostituita, nell'accendere il desiderio maschile ed esprimere la disponibilità femminile, da vistosi caratteri morfologici esterni (in particolare seni e natiche), molto più evidenti che in altri primati. Sono caratteri (non a caso intenzionalmente sottolineati nelle numerose "veneri gravettiane" dell'Alto Paleolitico) la cui visibilità è accentuata dalla perdita del pelo, che ha sottolineato e reso evidente a forma del corpo umano. Mentre nella femmina la scomparsa della copertura di peli ha esaltato la visibilità dei caratteri sessuali secondari, nel maschio ha portato, grazie alla statura eretta, a una involontaria esibizione permanente dei genitali, anch'essi più visibili e voluminosi che negli altri primati. Le dimensioni del sesso maschile umano non hanno nulla a che vedere né col piacere né con la riproduzione: sono solo un "segnale" destinato alla futura partner, frutto evidentemente di una selezione fondata su motivi "estetici", come le penne del pavone o il canto degli uccelli. L'architettura attuale del corpo umano non è perciò un regalo del caso. Sia i caratteri sessuali esterni femminili che quelli maschili dell'Uomo Moderno non sembrano tanto costituire risposte a una pressione evolutiva ambientale, quanto essere frutto della selezione sessuale, del manifestarsi cioè nella scelta del partner di preferenze "estetiche", che sottolineano i caratteri gratificanti e arbitrari, non puramente compulsivi, della sessualità umana. I segni insomma di una "passione erotica" che, se dal punto di vista evolutivo compensava la sparizione dell'estro, dall'altra, stimolando il dilagare dell'attività sessuale, costituiva un elemento di rischio: durante la stagione degli "amori", infatti, tutti gli animali, dominati dalla pulsione riproduttiva, allentano temporaneamente il loro stato di vigilanza (indispensabile nella vita selvaggia), perdono il controllo del loro ambiente, mentre diminuisce o si annulla l'interesse per altre funzioni vitali, come la ricerca del cibo e la tutela dei piccoli, nella nostra specie così a lungo e così totalmente dipendenti. L'anarchia individualistica della ricerca a ogni costo della gratificazione sessuale contraddice quindi la tendenza alla integrazione e alla responsabilizzazione nei confronti del gruppo che, fin dai tempi dell'Homo Habilis, è la premessa per la sopravvivenza collettiva. E, di conseguenza, entra in conflitto con la potente motivazione che ha stretto uno all'altro i primi ominidi: la paura, grande nutrice della nostra storia.
La paura è la levatrice e la balia della nostra evoluzione, la severa custode che, potenziata dalla sempre più ricca ed estesa memoria umana, ha impedito alla nostra specie di precipitare (finora) in disastrosi imbuti evolutivi. Agisce ancora dentro di noi, determina le nostre azioni, che ne siamo coscienti o no, e comunque si mascheri o si manifesti. È stata la paura a gettare le fondamenta di quell'universo delle regole entro cui è maturato l'Uomo Moderno, modellato dalla esigenza di contemperare le cieche pulsioni della biologia con le scelte comportamentali indispensabili alla sopravvivenza, propria e del proprio gruppo. Dalla paura nascono i tabù, i divieti comportamentali verso ciò che minaccia l'integrità e la stessa sopravvivenza della piccola e fragile comunità umana. E il primo riguarda proprio la sessualità, che lasciata a se stessa incrinerebbe la coesione del gruppo: nasce così una forma di "autoaddomesticamento" che assorbe le spinte anarchiche e compulsive della biologia, indirizzandole all'interno delle regole del gruppo. Ma l'addomesticamento della sessualità ha anche significato una prima forma di gerarchizzazione del gruppo, facendo decadere la femmina dal suo ruolo di socia paritaria (o forse dominante) a quello di "bene" da utilizzare. Fino a quel momento, infatti, la donna aveva sicuramente un ruolo cardine in quei primordi di società, sia perché "produttrice" di altri esseri umani, sia perché fonte (come madre e come partner sessuale) di emozioni gratificanti. È probabile che la selezione sessuale venisse in quell'epoca operata in gran parte dalla donna (ma le "preferenze" maschili sono probabilmente responsabili del vistoso emergere dei caratteri sessuali secondari femminili). È stata inoltre la "nutrice" del gruppo umano, finché la dieta era fondata principalmente sui prodotti vegetali che le femmine raccoglievano attorno agli accampamenti, e che assicuravano la continuità dell'approvvigionamento alimentare (la partecipazione dei maschi, imperniata sulla caccia, è aleatoria anche nelle residue tribù di cacciatori-raccoglitori; e lo era ancor più in un'epoca in cui le tecniche di caccia erano ai primordi, e il rinvenimento di carogne da spolpare affidato al caso e alla fortuna).
Inoltre la cura dei piccoli e la relativa sedentarietà che questa richiede avevano reso le donne le ere "padrone di casa" dei luoghi nei quali si riconosceva e organizzava la comunità umana. E ciò le rendeva naturali protagoniste di una serie di invenzioni tecniche e forse, grazie allo stretto e
prolungato contatto con i nuovi nati, autrici di massicci contributi allo sviluppo e al raffinamento del linguaggio. Il ruolo della donna, quindi, era predominante: anche sul piano sessuale, se dobbiamo credere alle tesi dell'antropologa di Harvard Sarah Blaffer Hardy, che sostiene che l'assenza di estro visibile nelle femmine del Sapiens derivava "dalla tendenza evolutiva ad assicurarsi rapporti con una pluralità di maschi", sia al fine di garantire una protezione collettiva i piccoli, sia per ottenere cibo per sé e per i figli anche quando le era impossibile abbandonare il sito. La comunità umana sarebbe quindi nata su base poliandrica, secondo la ricercatrice americana, con le femmine forse in posizione dominante: salvo capovolgersi bruscamente quando sia il rafforzarsi e codificarsi delle regole interne al gruppo, sia il miglioramento delle tecniche di caccia, potenziando il ruolo dei maschi cacciatori-guerrieri e strutturando tra loro una gerarchia di funzioni, rese intollerabile l'elemento di "disordine" che la libera sessualità femminile introduceva nell'organizzazione collettiva, poiché si manifestava sulla base delle preferenze individuali senza riguardo alle gerarchie imposte dall'attività del gruppo. Mettendo perciò a rischio la sua coesione e l'interesse dei maschi verso gli obblighi "sociali", diminuendo lo stato di vigilanza collettiva e spingendo l'attività sessuale oltre i limiti di rischio che il gruppo era in grado di tollerare. Da quel momento la dicotomia maschio-femmina cessa di svolgersi su un piano di parità, e la sessualità femminile viene vissuta come pericolo, minaccia da sventare. Ne emergono tracce non solo nell'organizzazione di tutte le società "storiche" dell'Uomo Moderno, ma anche nei miti e nelle fiabe. La donna è "pericolosa" e va domata (per potere poi essere utilizzata anche come bene di scambio con altri gruppi umani); è portatrice di maligni poteri, esemplificati nella letteratura folklorica dalla "vagina dentata". Propp [nel suo studio sulle Radici storiche dei racconti di fate] riesuma nel folklore russo e di altri popoli il dramma della "doma" della sposa, simbolicamente principessa o maga, il cui abbraccio può essere mortale per l'eroe, che da solo o con un aiutante magico (che simbolizza le direttive degli "anziani" del gruppo) deve renderla inoffensiva: e non proprio con le buone. Deve "strapparle i denti" dalla vagina, e lo fa torturandola e picchiandola: "Quei denti – scrive Propp – sono un simbolo, sono l'espressione figurata della potenza della donna, del suo primato sull'uomo. L'estirpazione dei denti e la tortura sono fenomeni dello stesso ordine: indicano che la donna ha perduto la sua forza. D'ora innanzi la principessa sarà docile e obbedirà al marito. Tutto si riduce a questo: l'antica potenza della donna è stata infranta dalla signoria dell'uomo. Ma vi è ancora un campo in cui l'uomo continua a temere la donna, forte e potente in virtù della sua capacità di generare figli. Anche storicamente la potenza della donna è fondata sul principio sessuale. Per questa sua sessualità essa è forte e temibile [...] [ma] viene privata di questo potere, ne viene privata in virtù dell'iniziazione, riservata ai soli uomini. Da quel momento la donna è asservita, cede il suo posto all'uomo, si ritira dall'ultima fortezza dove si credeva che potesse ancora esplicare il suo potere misterioso. Da quel momento l'uomo regna incontrastato". I riti di iniziazione, infatti, "sottraggono" gli adolescenti maschi all'universo femminile, e li sottopongono a una "nuova nascita", dolorosa e terribile, che li introduce nell'universo maschile e magico di cacciatori e guerrieri: a "partorirli" questa volta sono gli anziani, i detentori del potere e i custodi delle regole nel gruppo.
Perciò la normativa sessuale, nelle sue diverse varianti che includono tutte però la "caduta" della donna, è divenuta il paradigma di tutti i tabù, di quel complesso di norme fossili che continuano di agire potentemente nella nostra psiche. Dal complesso di prescrizioni che inchiodano la femmina dell'Uomo Moderno al suo ruolo subalterno e la espropriano della sua libera sessualità, nascono i divieti e gli obblighi che, pur tra mille trasformazioni e adattamenti, sembrano costituire un terreno comune per tutti i discendenti della nostra tribù: il divieto di incesto, che al di là del carattere sacrale e numinoso che lo caratterizza fin dalle origini, sembra diretto a favorire la "circolazione" della donna, la sua trasformazione in "bene", economico e politico, a tesaurizzarla per la comunità evitando di "spenderla" all'interno di un circuito chiuso come il nucleo familiare; il culto della verginità, che garantisce al maschio proprietario e defloratore il suo marchio di fabbrica sui figli, la sua continuità genetica; l'esogamia, che trasforma la donna in mezzo di scambio tra nuclei diversi, presupposto di una più ampia circolazione di beni e pegno di rapporti pacifici; la coppia (o la maggiormente diffusa famiglia poligamica) e l'invenzione dell'adulterio come colpa, strumenti non solo della privatizzazione della donna come fonte di prestazioni sessuali, ma anche di quella dei figli da lei prodotti, che costituiscono la riserva di forza e di potere per il patriarca. E a sua volta l'appropriazione dei figli e il rapporto di subordinazione che ne deriva costituiscono il modello della appropriazione di altri esseri umani, forse il fondamento (alla nascita della società agricola, che richiede un investimento senza precedenti in forza-lavoro umana) su cui crescerà la società schiavista, e al di là di questa ogni forma di espropriazione del lavoro umano. Le "istruzioni per la sopravvivenza" della organizzazione umana si trasformano così, alla vigilia della nascita delle prime società, in tabù, codici introiettati nelle coscienze, comportamenti divenuti coatti grazie al rafforzarsi della vocazione alla gregarietà, resa più potente e compulsiva dallo sviluppo dei linguaggi (e successivamente dei mezzi di comunicazione che dai linguaggi nascono): è la radice del conformismo "ingenuo" dei membri della tribù, che va in sincrono con l'uso strumentale dei mezzi di comunicazione (dalla costruzione delle mitologie alla televisione) ai fini dell'autoaddomesticamento e della costruzione di modelli comportamentali e di vita, che ssumono così rapidamente caratteri di necessità. [...]
Quei modelli si depositano nei linguaggi, plasmano le coscienze; vengono trasmessi, sotto forma di miti o di "sapere", installandosi permanentemente nelle memorie degli "anziani", custodi del etto procedere. Ed è proprio in questo passaggio che sembrerebbe formarsi una delle strutture portanti della società umana. La nascita cioè del concetto di "legge", che trasferisce la scoperta della ineluttabilità e ripetitività degli eventi di natura alle regole che la comunità ha adattato, introiettato e tramandato. Il "possesso dei codici" e la loro amministrazione da parte di coloro che – per età – non erano più in grado di partecipare alle rischiose attività del gruppo, ma che erano depositari della memoria e dell'esperienza collettiva, si trasforma in potere. Tocca agli "anziani" conoscere e guidare i complessi riti che presiedono all'iniziazione dei giovani, ossia del passaggio dallo stato di natura alla cultura; prendere, sulla base delle regole conservate (ed elaborate) nella loro mente e dell'esperienza collettiva, le decisioni che coinvolgeranno il destino della tribù; compiere le scelte che determinano la distribuzione dei carichi e dei benefici. Sempre più il gruppo umano si struttura come un organismo pluricellulare, al cui interno vige una distribuzione di funzioni e di compiti che fanno capo a un "sistema nervoso centrale", una struttura di comando. E la gerarchia di funzioni (necessaria) si trasforma in gerarchia di status, che probabilmente molto spesso si ipostatizza, diviene esplicita e assume anche caratteri esterni, visibili, che nesimboleggiano la funzione. Ancora una volta è il corpo che, da fonte primaria ell'appetenza, diviene il simbolo dello status. Si direbbe che una delle costanti del nostro cammino evolutivo culturale sia la trasformazione del corpo in discorso, il suo "mascheramento" per farne un portatore di messaggio (sociale). Il corpo diviene in un certo senso artificiale. Probabilmente gran parte della produzione di ornamenti (pendagli, collane, diademi e così via), di "iscrizioni" sul corpo (pitture, tatuaggi, incisioni, persino modifiche anatomiche artificiali), di "ricoperture" (vesti, mantelli, astucci penici) che caratterizzano il Paleolitico Superiore e successivamente le altre società umane fino alla nostra, si configura come informazione, "scrittura" e sanzione della collocazione dell'individuo nel gruppo sociale. L'apparenza nasconde il corpo (o lo esagera, quando ha la funzione di "esca sensoriale", come la definisce Zwang, e quindi di strumento di seduzione: in ogni caso però deformandolo secondo i canoni della cultura dell'epoca). Già alle soglie del Neolitico la frantumazione della tribù originaria in mille rivoli (pronti a contrapporsi giovandosi anche degli sviluppi tecnologici) distribuisce "mode", costruzioni diverse del corpo che vanno dalle iscrizioni sul corpo nudo nelle regioni il cui clima lo consente (dalle sacrificazioni come "biglietto da visita" tribale agli astucci penici che esaltano la potenza virile, uno dei valori principali a cui fa riferimento il codice tribale), ai pesanti addobbi cerimoniali delle tribù del freddo: ma alla base è lo stesso processo mentale, che tende a negare il corpo nella sua nuda semplicità, per farne uno strumento di affermazione sociale, un oggetto di cultura (e di potere). Franco Prattico, La tribù di Caino. L'irresistibile ascesa di Homo Sapiens, Raffaello Cortina Editore, Milano 1994.

2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

bELLA ALE'..STO DANDO UN OCCHIATA AL TUO BLOG..ANK IO NE HO UNO MIO PEER NULLA CURATO D'OH! E H HO INIZIATO A SEGUIRE UN FORUM..E SAI XKE?IL BABO HA COLLEGATO FASTWEB 24 H SU 24 H! PROMETTO DI LEGGERE ST'ARTICOLO SUL SESSO..E' UN PO' LUNGO X H..POI COMMENTEREMO DI CERTO!

SO LONG!

8:38 PM  
Anonymous Anonimo said...

troppo lungo... lol.. e alle 6 de mattina è proprio na cosa strana legge.. eheh...
W la foca e che dio la benedoca

(leggi tra le righe..lol)

6:29 AM  

Posta un commento

<< Home